giovedì 28 agosto 2014

Intervista a Daniele Menozzi, autore di “Giudaica perfidia”, l'antisemitismo tra liturgia e storia

«Giudaica perfidia». Uno stereotipo antisemita fra liturgia e storia è il titolo dell'ultimo libro di Daniele Menozzi, professore ordinario di Storia contemporanea presso la Normale di Pisa. Ho incontrato lo studioso in occasione della presentazione del suo saggio, edito da il Mulino, presso l'Archiginnasio di Bologna. La conversazione, che ha toccato figure e temi cruciali della contemporaneità (da papa Francesco al conflitto tra Israele e Palestina), è ruotata intorno all'espressione «giudaica perfidia» presente nella liturgia cattolica del Venerdì santo e che, per il professore, è stata un potente strumento per il radicarsi dell'antisemitismo nell'immaginario collettivo cristiano-europeo. Con un rigore che non rinuncia alla comunicatività, il volume ripercorre, infatti, la storia e l'incidenza della locuzione attraverso l'età contemporanea con inevitabili quanto necessari riferimenti socio-politici, nella fiducia che una ricostruzione storica puntuale e razionale sia il migliore (se non l'unico) antidoto al perdurare e all'ulteriore diffusione di pregiudizi che, radicati nel profondo delle coscienze, si prestano a essere facili strumenti di manipolazione politica.

Prima di entrare nel merito del suo libro, potrebbe chiarirci i concetti di giudaismo, semitismo, sionismo e relativi anti-?
In «Giudaica perfidia» ho usato con attenzione i termini “giudaico” e “semita”, proprio perché c'è un problema di antigiudaismo e antisemitismo. Quando si parla di giudaismo, si parla essenzialmente di religione mosaica. L'antigiudaismo esprime, perciò, una posizione di antitesi nei confronti della religione mosaica. È la posizione che il Cristianesimo ha mantenuto per molto tempo, fin dai primi secoli, in quanto ha voluto solo sottolineare la differenza rispetto alla religione da cui proveniva, oltre al pericolo che questa religione rappresentava.

martedì 26 agosto 2014

Cultura a #Bologna 8 – Archiginnasio

Rieccoci a Bologna, dove oggi mi seguirete all'Archiginnasio. Non si tratta di una sala di pubblica lettura come Salaborsa, ma di una vera e ricchissima biblioteca che conta oltre 80 000 volumi, di cui 2500 incunabuli, 9000 manoscritti, 200 fondi archivistici e più di 250 000 tra carteggi e autografi. Insomma, un tesoro per studenti e ricercatori. E poi ci sono 40 000 incisioni, disegni e fotografie, a cui l'Archiginnasio attinge a piene mani per l'allestimento delle sue mostre. Mi piace ricordare qui, tra le numerosissime,
  • Le due vite di Teresita (dedicata alla prima donna che lavorò all'Archiginnasio nel 1910);
  • L'altra metà del cielo. L'epopea delle donne volanti (omaggio alle pioniere dell'aviazione);
  • L'eresia dei Magnacucchi (su una vicenda della Sinistra italiana dimenticata dai più: l'espulsione di Magnani e Cucchi in quanto “traditori” ̶ leggasi “liberi pensatori” ̶ dal PCI di Togliatti nel 1951);
  • Eritrea 1885-1898 (immagini e documenti del primo colonialismo italiano);
  • All'ombra del Littorio (sulla propaganda fascista bolognese dal 1924 al 1939).

lunedì 25 agosto 2014

Docufilm - “Travelling in(to) Fluxus” di Irene Di Maggio

Non pensate a un noioso documentario storico-educativo sull'arte. Travelling in(to) Fluxus è il frutto di un viaggio affascinante intrapreso da Irene Di Maggio. La regista ha voluto, infatti, ripercorrere le tappe toccate 40 anni prima dai genitori, Viviana Socci e Gino Di Maggio, alla ricerca degli artisti di Fluxus. Dunque, col suo film approdiamo con lei a New York, anzi a Soho. Meglio ancora, nel contesto sofisticated low-budget eletto dal lituano-americano George Maciunas a cuore pulsante e aggregante del movimento artistico nato ufficialmente col Manifesto del 1961.

Da quel luogo sarebbe iniziate corrispondenze (per posta o per telefono) tra artisti di tutto il mondo che in comune avevano solo una decisa volontà di rottura rispetto all'establishment culturale. In quello spazio gli artisti si sarebbero anche ritrovati e avrebbero lavorato fianco a fianco, proseguendo ognuno nella propria direzione ma – in modo inevitabile – nutrendosi delle discussioni e dei reciproci stimoli creativi. «Un network prima di internet», come si afferma nel documentario. In effetti, per la prima volta nella storia, grazie alla personalità catalizzatrice di Maciunas, Fluxus realizza una rete culturale che varca ogni confine.

mercoledì 20 agosto 2014

Docufilm - "Is The Man Who Is Tall Happy?: An Animated Conversation With Noam Chomsky" di Michel Gondry

Is The Man Who Is Tall Happy?: An Animated Conversation With Noam Chomsky è un interessante documentario alla maniera di Michel Gondry, ma anche un'occasione per un incontro ravvicinato e inusuale con il professore del Massachusetts Institute of Technology.

Il teorico della linguistica generativa e il lucido attivista politico ci si presenta nell'intimità della sua abitazione, dimesso e a volte stanco al punto da inciampare nelle sue stesse parole che il regista finge di non capire. È l'uomo Chomsky al centro del documentario di Gondry, che gli chiede della sua infanzia (scolasticamente felice fino a quando fu educato col metodo Dewey, poi una noiosa e castrante catastrofe) e della sua vita (segnata dalla morte della moglie).

Non mancano riflessioni e teorie, che il linguista spiega con un atteggiamento che più lontano da una cattedra non si potrebbe immaginare e che il gusto sperimentale e visionario del regista di Se mi lasci ti cancello (2004) e Mood Indigo (2013) traduce in disegni animati col metodo della stop motion. Disegni che trasformano in linee e colori le parole di Chomsky mano a mano che vengono accolte, comprese e interpretate da Gondry.

mercoledì 6 agosto 2014

Cultura a #Bologna 7 – Salaborsa

Dopo avervi portato al MAMbo, oggi vi accompagno in Salaborsa, la sala di pubblica lettura che si apre in Piazza Nettuno, nel pieno centro di Bologna. Lì si respira una cultura che si offre leggera, ragionata ma ariosa. Potete godervela liberamente nella tranquillità di comode poltroncine o di colorate sedie ergonomiche, oppure seduti ai tavoli vicino a studenti e lettori delle categorie più varie.

Quando si entra in Salaborsa, subito si percepisce un'aura di vitalità. La cultura non si impone: è messa a disposizione e viene scelta. Ci si muove tra scaffali di libri, DVD e riviste; postazioni internet, mostre, spazi giocosi e allegri pensati per i bambini. Non manca una caffetteria per un piacevole break. E, se si abbassa lo sguardo al pavimento dell'atrio ampio e luminoso, chiamato Piazza Coperta, ci aspetta lo spettacolo di reperti archeologici che dall'era villanoviana ci conducono alla romana Bononia.

La Salaborsa è un luogo che si scopre poco per volta, se teniamo gli occhi ben aperti, o se la frequentiamo periodicamente, o anche solo se visitiamo con attenzione il suo sito, che ci avvisa della molteplicità delle sue iniziative e, dunque, della sua politica culturale. Data la varietà delle proposte, che convergono a rendere Salaborsa ben più che uno spazio di pubblica lettura, ho deciso di procedere per punti. O della Salaborsa come luogo di aggregazione e promozione culturale rischierei di dimenticare troppo.

lunedì 4 agosto 2014

Docufilm - “Dangerous Acts Starring the Unstable Elements of Belarus” di Madeleine Sackler

Il documentario di Madeleine Sackler Dangerous Acts Starring the Unstable Elements of Belarus è dedicato al Belarus Free Theatre. Girato in condizioni difficilissime per eludere la censura (indispensabile è stato Skype), non so quando sarà visibile nelle sale italiane: al momento manca un distributore nel nostro Paese. Ma le cose potrebbero cambiare grazie allo scorso Biografilm Festival e ai riconoscimenti ottenuti nella sezione Concorso Internazionale dal film, che ha ricevuto il Best Film Life Tales Award e l'Audience Award. Per ora, Dangerous Acts è presentato nei festival di tutto il mondo e il Belarus Free Theatre ha messo in scena i suoi spettacoli in più di 40 Stati, ricevendo una straordinaria accoglienza soprattutto a New York e a Londra. Da noi, per fortuna, esiste il web.

Gli attori del “Teatro Libero della Bielorussia” sono stati costretti a fuggire sotto falso nome dal loro Paese, sono approdati a New York dove il loro Zone of silence si è guadagnato una recensione entusiastica dal New York Times. Alcuni di loro hanno poi deciso di tornare in Bielorussia per stare vicino ai propri cari. Altri hanno scelto la Gran Bretagna, dove hanno chiesto e ottenuto asilo politico.