Infiniti
ancora i pregiudizi sull'Islam nel nostro Occidente. Forse dovuti a
malafede, a semplice ostinata ignoranza o, peggio, all'assunzione
acritica delle notizie e degli slogan trasmessi o propagandati dai
media tradizionali. A questi, troppo spesso deleteri, si stanno per
fortuna affiancando (e di gran corsa) siti web indipendenti e
competenti, che non si occupano solo di fare cronaca seria del
presente, ma anche di comprenderlo alla luce del suo passato
complesso, e non prescindendo dal poliedrico pensiero politico che lo
ha determinato.
Intanto,
nell'ambito della Festa
internazionale della Storia, a Palazzo Pepoli a Bologna, Massimo
Campanini ha offerto qualche spunto utile.
E
Campanini è voce degna di essere ascoltata. È il curatore del libro
a più voci Le rivolte arabe e l'Islam
edito dal Mulino nel 2013. Di formazione filosofica e studioso
autorevole del pensiero politico islamico, attualmente docente
di Storia dei Paesi islamici alla Facoltà di Lettere e Filosofia
dell'Università di Trento, nel breve spazio di un incontro è
riuscito ad aprire qualche spiraglio di comprensione.
Sul
movimento dei Fratelli musulmani, soprattutto. Il cui nome fa paura,
perché, come spesso accade, non lo si conosce. È di certo un movimento complesso. Le sue origini risalgono all'Egitto del 1928,
dove nacque per iniziativa del maestro di scuola Hassan
al-Banna.
Si
diffuse poi rapidamente nei territori arabi (dal Sudan alla Siria,
dal Marocco all'Iran) riuscendo ad aggregare le varie anime del mondo
musulmano.
Questo
movimento non è mai stato una forza integralista né ha mai pensato
di utilizzare strumenti terroristici. Se «lo
jihad è la nostra strada» è tra i principi dei Fratelli musulmani,
lo
“jihad” è da intendersi (come da Corano)
come lo “sforzo” individuale del fedele sulla via di Dio.