«Possiamo
essere qui e altrove, ma dobbiamo agire dove siamo, perché cambiamo
dove restiamo».
Così Vito
Teti,
Professore di Etnologia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università della Calabria, dove ha fondato e dirige il Centro
di Antropologie e Letterature del Mediterraneo, nel corso della
presentazione di Maledetto
Sud (Einaudi,
2013).
Una
serata dialettica, che ha posto domande e fornito spunti più che
risposte. Una serata che mi sembra non sia ancora finita, tanto sento ancora vive le sollecitazioni che ne ho ricevuto. La
presentazione di un libro di per sé "plurimo" ha dialogato col
bellissimo corto Le Corbusier in Calabria di
Fabio Badolato e Jonny Costantino
(Baco
Productions, 2009) e i momenti musicali del
Parto delle Nuvole Pesanti, con le fotografie di Giulio Rimondi e la chitarra di Vitantonio Malfarà.
Grazie
dunque ai 100Thousand Poets for Change di Bologna
e
alla loro rappresentante Pina Piccolo per averci regalato una rara
ricchezza di prospettive.
Non
può non colpire la prosa (orale e scritta) dell'autore,
letterariamente educata; e poetica negli indugi descrittivi ed
evocativi dedicati alla sua Calabria. Altrettanto stupisce il
contenuto di un discorso che non si limita a smontare i pregiudizi
più noti verso i meridionali «razza maledetta». Maledetto Sud ci offre
il paradigma di un approccio trasferibile ad altre realtà e,
soprattutto, rappresentativo di una
modalità di incontro col reale che definirei necessaria, dal momento
che viviamo in un'epoca precaria ed errante, accelerata e instabile.
Maledetto
il Sud è
un libro in apparenza sul Sud. Parte dal Sud, ma riguarda tutti noi.
In qualche luogo viviamo oggi. Di qualunque pregiudizio siamo oggetto
e qualunque pregiudizio nutriamo. Da qualsiasi luogo proveniamo e in
qualsiasi luogo andremo. Parla
di tutti noi e del nostro rapportarci al concetto di identità, anche se
non ci spostassimo mai.
Vito
Teti ha esordito parlando della mutazione
antropologica che ha travolto il Sud
(quello
dei lavoratori, non quello dei notabili da club élitario): il valore
della fatica è stato sostituito dall'«elogio della clientela e
dell'invalidità». Tutti sono responsabili di questa involuzione, a
cui hanno contribuito mafia, istituzioni locali e nazionali,
imprenditoria settentrionale: insomma, «nessuno
si salva l'anima»,
per il Professore calabrese.
I
valori fondanti del mondo tradizionale sono così andati perdendosi,
conducendo a quell'«apatia»
che non è affatto un dato etnico del Sud, bensì il frutto della modernità.
Dunque, non è il Nord che dovrebbe insorgere contro il Sud: Nord e Sud dovrebbero unirsi contro una criminalità organizzata che non
coincide, in Calabria e altrove, solo con la 'ndrangheta.
Abbiamo visto lo stravolgimento dell'ambiente e della cultura tradizionali nel corto
di Jonny Costantino e Fabio Badolato,
girato in super8 nel corso di tre estati. 11 minuti in cui scorrono
sullo schermo immagini di un paesaggio violentato e desolante, dove
la bellezza incantevole della natura si fonde ai pali di ferro
e ai mattoni abbandonati. Ne nasce una nuova bellezza, di cui è parte una strana forma di angoscia. È «abisso e
incanto» insieme, per usare le parole di Costantino, amico di Antonio Moresco. È un paesaggio
esteriore che si fa interiore,
grazie a un linguaggio cinematografico sperimentale e raffinato, ma
anche di forte impatto emozionale.
Le immagini ipnotizzano se fisse o scorse dallo sguardo lento
della camera, e travolgono se percorse ad alta velocità.
Nel corto si vedono le «rovine
della post-modernità»
di cui parla Vito Teti, che in loro riconosce uno degli aspetti
dell'«incompiutezza»
tipica del Sud. Un'incompiutezza
che non manca, tuttavia, di ragioni profonde, oltre che di una propria nobiltà.
È l'incompiutezza legata all'assuefazione alle catastrofi naturali, che obbligano a ricostruire
periodicamente ciò che è andato distrutto, inclusa la propria
esistenza.
Il Sud è segnato dall'emigrazione: da un punto di vista antropologico, in un mondo di uomini che partono per poi tornare, ci si abitua a
iniziare lavori che si pensa saranno portati a termine dai figli.
Senonché ormai nessuno torna più: si rimane al Nord.
Una
declinazione dell'incompiuto è anche quella percezione dell'attesa così
propria della cultura mediterranea: in Calabria si dice «“ci vediamo
domani” per non vederci mai», ha ricordato Teti.
Ma dell'incompiutezza è un segno anche
l'amore per l'estro, di cui, secondo il Professore, sarebbe
testimonianza il liutaio autodidatta Vito Antonio Malfarà, che a 50
anni recupera e reinventa il passato costruendo le sue chitarre battenti.
E non si può dimenticare la vitalità della musica che si fa denuncia, come nelle canzoni del Parto delle Nuvole Pesanti.
Vito Teti e Gassid Mohammed |
Ma in Maledetto
Sud c'è anche altro. Vito Teti valorizza l'immigrazione
straniera, senza la quale molti paesi italiani sarebbero morti. E si
dipana allora il tema dell'«erranza»,
dello sradicamento che apre un vuoto, che obbliga a diventare altro
da quello che si era, che sfida a scavare nella propria «ombra»,
termine psicanalitico assunto per indicare i lati oscuri
che emergono nei migranti di ogni luogo e tempo.
Un'ombra di cui il migrante deve prendere consapevolezza. Può trattarsi di ferite antiche
o di pregiudizi invalidanti, se non si ha il
coraggio di affrontarli. Allora, «dobbiamo
scegliere: vogliamo ignorare o conoscere e far emergere?»,
anche se attraverso un percorso doloroso, l'unico in grado di farci
andare avanti e farci agire dove siamo? Vogliamo tutti noi rivolgere lo sguardo ben a fondo nella nostra ombra e decostruire i pregiudizi che ci impediscono di incontrare il nuovo qui e ora?
E
questa è solo una delle domande e delle provocazioni lanciate da Maledetto
Sud,
un saggio antropologico e un bellissimo racconto che va ben oltre i
confini del Sud da cui prende le mosse. Che spinge a mettere in
discussione anche chi è fermo, ovunque sia nato o risieda, nel momento in cui incontra l'altro. Ricordando le parole dello scrittore di origine brasiliana Julio Monteiro Martins, siamo tutti migranti: se anche noi non ci muoviamo, si muove il mondo intorno a noi.
Nessun commento:
Posta un commento