martedì 29 ottobre 2013

"Guardami" di Jennifer Egan - un romanzo sulla perdità dell'identità nella civiltà dell'immagine

Per fortuna c’è molto di più della critica alla civiltà americana in Guardami, secondo romanzo della statunitense Jennifer Egan (minimum fax, 2012). Ché altrimenti ci sarebbe da annoiarsi un po’, soprattutto dopo certa grande scrittura visionaria e sperimentale (da Thomas Pynchon a David Foster Wallace).
Leggiamo: «L’astrazione; la standardizzazione; il collasso dello spazio e del tempo... fu l’inizio della modernità!»; «Dai alla gente un boccone di qualcosa di cui le resterà la voglia per tutto il resto della vita, e non ci sarà bisogno di combatterla. Si consegnerà spontaneamente. Era questo il complotto americano» (realizzato attraverso i media); «la cecità attuale derivava da un eccesso di visione: apparenze scollegate da ogni sostanza reale, lasciate a galleggiare sul nulla, al servizio di nulla».
Si parla dunque della civiltà dell’immagine (che raggiungerebbe l’acme con il reality show iper-realista e alienante) e della colonizzazione culturale americana (considerata ben più insidiosa di quella politica ed economica perché strisciante e subdola colonizzazione psichica). Però manca una riflessione originale al riguardo.
Nel romanzo si prefigurano anche rischi di attacchi terroristici contro i simboli della potenza statunitense.

domenica 20 ottobre 2013

"Hannah e le altre" di Nadia Fusini

Hannah e le altre è uno di quei libri che possono generare un processo trasformativo nel lettore. Non perché proponga chissà quale visione o approccio rivoluzionari (che Nadia Fusini ha almeno in parte mutuato dalle protagoniste del suo libro), ma perché divulga una visione e un approccio che l’autrice ha fatto propri e che ora intende condividere con noi, convinta che, se leggiamo davvero, continuiamo a nascere.
L’operazione non deve essere risultata ostica per lei, che, oltre ad essere docente di Letterature comparate presso il SUM di Firenze, è traduttrice e scrittrice di romanzi. Hannah e le altre in effetti, pubblicato per i tipi di Einaudi, appartiene a un genere “ibrido”, assimilabile a una “conversazione” che l’autrice intrattiene con sé stessa e con i lettori, e che prima ancora ha intrattenuto con le opere delle tre protagoniste di questo saggio coerente, coeso e dai chiarissimi intenti, nonostante, anzi proprio grazie al suo carattere ondivago e frammentato (brevi, e numerosissimi, i capitoli).

domenica 6 ottobre 2013

"Breve storia d'amore e libertà" e "Col fiato sospeso" di Costanza Quatriglio

È passato qualche giorno da quando ho visto due film di Costanza Quatriglio nella Sala Offcinema/Mastroianni del Cinema Lumière di Bologna. Ma voglio scriverne comunque, perché è raro assistere a visioni tanto potentemente concentrate, in cui praticamente nulla è superfluo, anzi tutto è quasi fin troppo incisivo e deflagrante.
Comincio col primo film, un vero e proprio documentario della durata di 14 minuti, e dalla sua ultima battuta.
“Sta piangendo perché si è ricordata”. E poi cala il velo nero della dissolvenza, atteso e inaspettato insieme, ma necessario. Lo spettatore sente che così doveva essere (grazie all'intelligenza della regista che lo ha abilmente condotto per mano). È un velo-scure crudele e definitivo, che penetra e squarta al punto che quasi non se ne rimane scossi, ma semplicemente scioccati. È l'effetto che Costanza Quatriglio è riuscita ottenere con la sua Breve storia d'amore e libertà del 2010. A pronunciare la frase del film è Jan, giovane afghano profugo in Italia che cerca ostinatamente di contattare la madre rimasta in patria, la quale però ha rimosso il ricordo del figlio. È convinta che lui sia morto. Jan riesce a parlarle, le dice il suo nome, ma la madre non lo riconosce. Cellulari suonano, abbandonati su tavoli o letti. Alle domande poste non ci sono risposte né si sviluppano conversazioni. In cabine-gabbie vediamo Jan a un telefono muto o in attesa di una chiamata, dietro a vetri sporcati dai riflessi di una città occidentale che ci sembra irreale e sporca e, di certo, schizofrenicamente astratta dalla realtà del giovane.

"35 morti" di Sergio Àlvarez, La Nuova Frontiera, 2013

È nel nome del bandito pluriassassino ed ex-caporale dell’esercito Botones che si apre 35 morti dello scrittore colombiano Sergio Àlvarez (La Nuova Frontiera, 2013). Ritrovatosi sotto assedio nella casa in cui è ospitato, Botones si difende accanitamente fino all’ultimo respiro sfruttando le armi ben rodate di un feroce istinto di sopravvivenza e di un’assuefazione, diventata meccanismo involontario, allo spargimento di sangue. Ma è la sua ora.
Un romanzo che esordisce all’insegna della speranza dunque? Certo che no. Anzi, «Botones commise l’ultimo crimine nove mesi dopo la sua morte», recita l’incipit. Ultimo crimine che coincide con la nascita dell’eroe, che ne appare dunque vittima e insieme erede. L’ombra truce di Botones, come una maledizione, continua a aleggiare sul romanzo che si chiude ancora in suo nome, con un’apostrofe a lui, l’anima nera della Colombia che nessun puntuale e in sé efficace atto di giustizia o polizia può redimere o eliminare.

sabato 5 ottobre 2013

"La nemica" di Irène Némirovsky, Elliot, 2013

Romanzo breve ad oggi inedito in Italia e meritoriamente pubblicato da Elliot (2013), La nemica di Irène Némirovsky appare distante da testi di sicuro interesse e piacevolezza come Suite francese, che ha reso celebre l’autrice in tutto il mondo, e l’intenso David Golder. Le ragioni di tale scarto, incolmabile qualunque angolatura interpretativa si utilizzi, sono sicuramente da rintracciarsi nell’appartenenza della Nemica ad un periodo giovanile, ma anche nell’autobiografismo palese che deve aver reso impervio alla scrittrice trattare un materiale privato bruciante, da cui era urgente liberarsi e rispetto al quale premeva vendicarsi. Inspiegabile, altrimenti, quella distanza.
Pare indubbio dunque che la storia narrata si nutra del dramma di un rapporto intimo, di impossibile gestione nella vita e di tentata catarsi nella letteratura.