venerdì 11 aprile 2014

A Bologna Orhan Pamuk parla di come nacque "Neve"

Snow (Neve) è il romanzo più palesemente politico che Pamuk abbia mai scritto. Che la letteratura sia politica in sé, nel momento in cui si occupa – inevitabilmente – dell'individuo e dei suoi rapporti con il mondo, forse non dovrebbe nemmeno essere ricordato. Ma repetita iuvant. E comunque Neve è politico in modo dichiarato.

Tengo a sottolinearlo per uno scrittore turco come Orhan Pamuk, che non si è atteggiato a "eroe" nel corso della terza Lectio Magistralis tenutasi all'Università di Bologna il 9 aprile scorso, nonostante le "disavventure" in cui è incorso e su cui ha, per modestia credo e spero, deciso di sorvolare. Perché certo in qualche serio "imbarazzo" lo scrittore turco si è trovato coinvolto.

Ma a me, ora, interessa condividere con voi come nacque Neve (2002), stando a quanto raccontato da Pamuk.

Un uomo matura. E il Pamuk del 2002 non era più quello che intorno ai vent'anni aveva provato a scrivere un romanzo ispirato ai suoi amici anarchici, per poi alla fine rinunciarvi. La politica non era troppo affar suo, a quel tempo; piuttosto, ben sua era la sfida alla sperimentazione di  nuove vie letterarie.

Tuttavia, oggi, non si può parlare di Pamuk senza parlare di politica e di società civile.

Chiarisco fin da ora che non ritengo Orhan Pamuk un “eroe”. Lo ritengo uno scrittore che si è trovato costretto a confrontarsi con una realtà che non poteva essere ignorata. Perché pretendeva attenzione. O forse, più semplicemente e probabilmente, perché era potente fonte di attrazione per il letterato turco. Almeno nel momento in cui io ho avuto l'occasione di trovarmi faccia a faccia con lui. Credo che qualunque scrittore sia in grado in comprendere questa prospettiva.

Di certo negli anni Ottanta, ai tempi del giovane Pamuk, scrivere anche timidamente di politica in Turchia comportava il rischio di finire in galera. Lo stesso scrittore ha ammesso: «Ho preferito starmene da parte». Forse può faticare a comprendere queste parole chi si senta direttamente responsabile della società in cui vive.

Ma un autore può decidere di uscire dalla sua torre d'avorio. Oggi, Pamuk è una voce che avverte in pieno la sua responsabilità, e se ne fa carico. L'impegno è necessario e inevitabile, a volte.

Sono piuttosto convinta che per un letterato "puro" come Pamuk il percorso non sia stato così semplice. Orhan crebbe in una famiglia benestante dell'upper class turca, sotto un governo militare capace di garantire una sostanziale stabilità. Il futuro avrebbe obbligato al confronto con un Islam politico destinato alla vittoria, anche grazie al suo forte impatto presso certi strati della popolazione. E avrebbe obbligato il privilegiato e intelligente Pamuk a scavalcare il recinto protetto all'interno del quale era cresciuto.
Eccoci allora a Snow.
Il romanzo fu originariamente pubblicato con il titolo di Kar e racconta di Kars, nome di una piccola città situata in un minuscolo angolo di terra nel Nord-Est della Turchia, vicino alla Georgia.
Pass fornito da «Sabah»
Pamuk l'aveva visitata molti anni prima di scriverne, spinto dalla sua vorace curiosità. Finché arrivò il momento in cui il noto quotidiano turco «Sabah» gli offrì un lavoro: l'autore ormai conosciuto avrebbe dovuto redigere un articolo sulle elezioni che si sarebbero tenute nella sperduta cittadina.  Lo scrittore sperimentale prontamente affermò, seduta stante, che non sarebbe mai diventato un columnist. Ma al direttore di quel giornale era piaciuto così tanto Il mio nome è rosso... E il riconoscente e generoso letterato si sentì in dovere di partire.

Non credo che Pamuk sia stato in grado di prevedere  che Kars avrebbe ispirato il suo successivo e potente romanzo, diventando il microcosmo simbolico dell'intera Turchia.

A vent'anni, quando aveva visitato la cittadina per la prima volta, era solo un giovane desideroso di conoscere il suo paese, di inoltrarsi nei suoi angoli più nascosti e misconosciuti. In effetti, prima di partire, aveva raccolto cartoline che lo aiutassero a selezionare i luoghi più esotici della Turchia. Kars era rientrato tra i selezionati.


Kars


Da adulto, il suo viaggio a Kars, una delle più povere comunità del Paese, si sarebbe rivelato ben diverso.
Lo scrittore si ritrovò straniero in un paese al confine con una Russia che aveva lasciato la sua evidente impronta nelle ampie strade tracciate nell'abitato di tradizione ottomana.

Pamuk intervista il governatore di Kars



Un sistema di sicurezza onnipresente e oppressivo controllava ogni movimento dell'improvvisato giornalista che, fornito del suo pass, poté intervistare il governatore della cittadina, aderente al Partito Islamico ai tempi in cui Erdogan era solo il sindaco di Istanbul.

Il compito ufficiale di Pamuk venne efficacemente svolto. Ma molto altro di Kars avrebbe attirato lo scrittore, costringendolo a tornare in una cittadina che, in Neve, avrebbe assunto un valore paradigmatico.

Da ciò che aveva suscitato l'interesse di Pamuk scrittore e intellettuale, non bastò a distoglierlo  il controllo opprimente di poliziotti e agenti segreti che si fingevano amabili guide. «Siamo qui per proteggerla. Per questo la seguiamo». Per tutta risposta, Pamuk non lasciò mai nulla di nulla di incustodito nella stanza del suo hotel, nel timore che i sui appunti venissero letti. Intanto, in lui, antiche emozioni si risvegliavano. L'ansia, prima tra tutte, capace di arrivare al parossismo della paranoia, ma fortunatamente accompagnata dall'urgenza prorompente di raccontare tutto.

Orhan Pamuk è uno scrittore. Di quelli veri. E un esploratore, di conseguenza. A Kars andò ovunque. Ascoltò e, quando poté, registrò le conversazioni. Benché la sera, sotto il cuscino, dormisse col suo personale antidepressivo, Marcel Proust. Perché di storie inascoltabili e inaccettabili dovette sentirne, il nostro autore, che, anche grazie a quelle storie, renderà Kars immortale.

La Kars che sedimenterà in Pamuk, dopo che per tre anni vi raccolse confidenze. Al punto che molti arriveranno a chiedersi: «Quell'uomo va e viene da Kars da anni e non ha ancora finito il suo articolo sulle elezioni. In tre anni un uomo scriverebbe un libro!». Già... Ma non c'era verso che Pamuk girasse senza quaderno. La gente lo cercava e lo inseguiva, per fornirgli dettagli.

Così, più o meno silenziosamente, quel libro, poco per volta, veniva partorito.

Certamente, per esplorare la simbolica cittadina di Kars, lo scrittore dovette fornirsi di una mappa. E di una ufficiale. Una di quelle che, in una cittadina come Kars, conoscono solo gli uffici postali e gli autisti, oltre agli occidentali. Una di quelle che Pamuk ha usato in Neve, da cui lui, come noi, siamo stranieri.

Si trattava di una mappa i cui nomi risultavano ignoti agli abitanti della cittadina, usi a riferimenti più familiari. Alla domanda "Dove si trova il tal luogo?", i residenti non rispondevano citando il nome delle strade, ma, a titolo di esempio, "Oh! Quel posto si trova di fronte al negozio di...". La fedeltà alle loro parole è stata mantenuta nel testo turco; nelle traduzioni internazionali, gioco forza (e significativo), Pamuk ha sostituito alle parole degli abitanti i nomi ufficiali.
Nella sua Lectio Magistralis, infatti,  Pamuk  ha affermato di aver cercato di mediare due diverse prospettive «trascendendo entrambe», sulla scia di Flaubert. Scrittore vero, appunto.

Quanto succulento sarebbe leggere Neve in lingua originale...

Comunque, di Kars Pamuk continuerà a interessarsi: leggendo giornali sempre più conservatori e islamisti, testimonianze più o meno manovrate, incluse le notizie relative all'alto tasso di suicidi femminili a Batman riportati da quotidiani come «Le Monde» e «Frankfurt Allgemeine».
Perché, del resto, stupirsi? Ho sempre pensato che gli scrittori autentici,  anche quando dichiarano (per i più vari motivi) di non cercare l'impegno, sono inseguiti dall'impegno.

Ed è ora che arrivano le questioni “serie”. Pamuk scrive e l'editore:  «Prima della pubblicazione, consultiamo un avvocato». Per fortuna, Pamuk ha un amico ex-soldato che gli consiglia di rimuovere espressioni "pericolose" come «aeroplani militari» dal suo romanzo (anche se, al tempo in cui è ambientato, non c'erano che aerei militari). Tra i vantaggi di chi legge il testo tradotto: queste espressioni non sono state espunte.

È che in Turchia bisogna fare attenzione: è sufficiente un minimo riferimento a ciò che in Occidente apparirebbe inaccettabile perché si scateni un caso giudiziario. E se una causa viene aperta, di là dalle possibili conseguenze civili o penali, una casa editrice può andare in bancarotta, perché le copie già stampate vengono confiscate. E se ciò fosse avvenuto per Neve, lo scrittore ne sarebbe stato considerato responsabile. Chi avrebbe avuto allora il sano fegato di pubblicarlo in futuro? Per evenienze come questa in Turchia ci si è inventati un “uso”: libri suscettibili di confisca vengono raccolti in un deposito segreto e poi venduti sottobanco. Così è accaduto per Neve. Io, come spero molti di voi, ne gioisco.

I dibattiti e le polemiche seguite all'uscita del libro meriterebbero non un altro post, ma un libro intero.

A me interessa qui testimoniare la fatica del lavoro di Pamuk, uno scrittore per il quale i romanzi non esistono per giudicare, ma per comprendere. Certo la personalità e la visione dell'autore sono sempre parte in causa, e forse Neve fallisce perché vuole cambiare troppo, come ha ammesso lo sesso autore (ma io non ne sono convinta): in Neve, certi forti dogmi religiosi tradizionali cozzano, senza apparente possibilità di soluzione,  contro quelli che Pamuk ha a più riprese definito come valori europei. Probabilmente qui si porrebbe una questione, non letteraria ma culturale:  cosa si intende con "europeo" o "occidentale"?

Da questo punto di vista, se devo essere sincera, qualche domanda a Pamuk l'avrei rivolta. Per quel suo richiamarsi eccessivo, a mio parere, a valori occidentali che, almeno in parte, andrebbero chiariti o riconsiderati. Purtroppo, è mancato il tempo.

Ma non dovrebbe mancarci il tempo per leggere Neve.

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