venerdì 11 aprile 2014

Intervista a Bianca Pitzorno: scrittrice per l'infanzia ma non solo

Bianca Pitzorno è un'amatissima scrittrice di libri per l'infanzia. Più di 40 i romanzi pubblicati; numerose le traduzioni in vari Paesi, dalla Francia al Giappone, e molti i riconoscimenti ottenuti. Uno fra tanti: autrice finalista al Premio Hans Christian Andersen Award 2012. Ma Bianca Pitzorno ha scritto anche romanzi storici, ed è stata funzionaria RAI, sceneggiatrice, archeologa, insegnante, traduttrice, paroliera e altro ancora. Attualmente, è ambasciatrice dell'UNICEF.
Alla Bologna Children's Bookfair 2014, abbiamo avuto occasione di porle alcune domande sulla sua produzione per l'infanzia, apprezzata per il realismo, l'umorismo, la lingua «così lieve e linda e sapiente nella sua ammiccante semplicità» capace di «raccogliere in una trama saldamente unitaria le infinite occasioni ritrovate e riproposte. E poi c'è il senso dell'atmosfera, la robusta capacità di creare un credibilissimo clima figurale proprio mentre si viaggia tra i topoi più noti della storia della letteratura», come ha scritto di lei Antonio Faeti.

I suoi libri per l'infanzia sono a tutt'oggi ristampati e riscuotono uno straordinario successo.

Sì. Sono 15 anni che non scrivo più libri per l'infanzia. Ma, per mia fortuna e con mio compiacimento, continuano a girare libri come Clorofilla dal cielo blu del 1974, come se l'avessi pubblicato l'anno scorso.


Secondo lei, qual è il motivo del suo successo?

Non ho mai cercato di scrivere cose di moda. In qualche occasione mi hanno contestato, perché non ho mai usato il gergo giovanile né ho cavalcato determinati temi. Ma a me il gergo giovanile non interessa. Certo, a volte è necessario. Le avventure di Huckleberry Finn è scritto tutto in gergo, ma non cavalca le mode. A me interessa qualcosa che duri nel tempo. Poi, le mie storie trattano di sentimenti e relazioni base degli esseri umani.

Nella sua produzione per l'infanzia sono probabilmente confluite alcune delle sue molteplici esperienze, tra cui quella di traduttrice. Può parlarcene?

Facciamo un piccolo passo indietro. Io nella mia vita ho fatto tante cose. Non mi piace essere chiusa nella gabbia della letteratura per ragazzi. Sono stata archeologa, ho insegnato latino e greco, ho studiato approfonditamente l'Orlando furioso... Adesso, è da quindici anni che scrivo romanzi storici, biografie di donne. In questa mia vita vagabonda, c'è stato anche il casuale successo dei libri per ragazzi. Ma non vorrei che informasse tutto quello che ho fatto; semmai è il contrario: nella mia scrittura per bambini rifluiscono tutte le altre mie esperienze. Detto questo, io sono una grande lettrice, ovviamente di libri per adulti. Mi piacciono anche libri difficili. Sono convinta che un libro difficile, anche se non lo capiamo completamente, ci stimoli comunque. Questo vale sia per gli adulti sia per i bambini. Per cui non credo che uno scrittore per bambini debba essere prima pedagogista, sociologo o educatore. Deve essere uno scrittore. Il resto è un'altra cosa. Anzi, vorrei dire che un handicap della letteratura per bambini è che non esiste la saggistica, cioè testi di tipo scientifico. Tutto deve diventare un racconto, come nel Razzismo spiegato a mia figlia. Così si confonde la fiction e una giusta divulgazione, che però deve finire nel settore divulgazione. Secondo me, passati i 7/8 anni, i bambini sono perfettamente in grado di affrontare certi temi.


Quali grandi autori l'hanno maggiormente ispirata?
Una premessa. Io sono convinta che letteratura sia trasfigurazione, non relazione. Un giornalista che assiste a un incidente stradale, per esempio, riferisce come sono andate le cose. Uno scrittore parte dall'incidente stradale per riflettere sul destino, sulla vita e sulla morte. Da un fatto banale si irradiano temi profondi, filosofici o anche ridicoli, dipende dalla chiave interpretativa, ma che vanno molto al di là del fatto. Penso a Alice Munro, che in un racconto di cinque pagine ricostruisce una vita dall'inizio alla fine e dà il senso del destino, anche concluso, perché i suoi personaggi invecchiano. Questo è il senso della letteratura. Poi, niente di male se qualcuno vuole fare l'elenco dei fatti. Ma sono due cose diverse.


Quanto agli scrittori che ama?
Se fossi un sultano, avrei un harem. Ne amo molti, e di molto diversi. Ieri a casa mia un mio ospite si meravigliava di vedere due file di Stephen King, che ritengo uno degli autori più straordinari. Anche se amo il King che si firma King e il King meno horror. Per esempio, trovo Dolores Claiborne straordinario, come Il gioco di Gerald, dove non succede niente. Una coppia va in una casa isolata in montagna a fare bondage, in tutta tranquillità. Il marito lega la moglie alla testiera del letto, ma gli viene un infarto e muore. La donna rimane sola. King non racconta altro che la situazione di questa donna. King ha scritto anche una saggistica straordinaria. Penso al saggio sulla paura e a On writing. Poi andiamo all'estremo, forse. Victor Hugo, il mio dio tutelare e protettore, e Dickens. Fra gli italiani moderni, l'unica che amo è Melania Mazzucco, perché la trovo duttile rispetto alle tematiche, che sono contemporanee ma trasfigurate. Prendiamo Limbo. Il tema della donna e delle nostre guerre cosiddette umanitarie non è trattato nel modo a volte un po' sciocco di molte femministe. La sua eroina può stare all'altezza di quelle di Tolstoj e Dostoevskij. Non so se preferisco Guerra e pace o L'idiota. Io mi sono innamorata di Nastas'ja e di Aglaja, da cui l'Aglaia del mio La casa sull'albero. Mi piace poi molto Antonia Byatt, da Possessione a Il libro dei bambini, che racconta proprio l'inganno, lo sfruttamento dei bambini e del tema infanzia da parte dell'adulto. Libro che riporta al periodo inglese del Peter Pan di Barrie, i cui figli, che lui adotta e che adora, si suicidano tutti. Era un incredibile nevrotico... Vede, i grandi scrittori per bambini non sono mai stati grandi genitori, pedagogisti... Sono quelli che Faeti chiama i “lunatici”. Lewis Carroll ad esempio era un pazzo scatenato. Suppongo fosse simpaticissimo per i bambini che entravano nella sua stanza delle meraviglie, ma era tutto fuorché un bravo educatore. Però non credo fosse un vizioso. A quell'epoca i bambini si fotografavano nudi. Il nudo infantile, teorizzato da Ruskin, era la purezza. Quella grandissima fotografa che è la zia di Virginia Wolf, Julia Cameron, scatta foto a metà tra il ritratto fotografico e il quadro; e i suoi bambini sono tutti nudi. William Blake teorizza la purezza del “bambino angelo”. Le fotografie di Carroll vanno inserite in questa tradizione. Io sono sicura che Carroll oltre non andasse. Penso che si trattasse piuttosto di un suo blocco di crescita.


Quando ha iniziato a scrivere per l'infanzia?

Ho iniziato in due momenti della mia vita: a otto anni per i miei coetanei; da adulta, è stato accidentale. Lavoravo come funzionaria alla RAI. Il mio capo struttura, Raffaele Crovi, in quel periodo dirigeva una collana di libri per ragazzi per la Bietti, quando ancora di letteratura per ragazzi si parlava pochissimo. Un autore gli ha dato un bidone, ma lui doveva andare in stampa. Mi ha beccato in corridoio e mi chiesto se me la sentivo di scrivere 120 pagine in un mese. Io lavoravo tutto il giorno, ma ho accettato la sfida e ce l'ho fatta, scrivendo di notte e nei week-end. Così è nato Sette Robinson su un'isola matta. Da allora, su richiesta, ho scritto un libro e mezzo all'anno.


C'era forse anche una motivazione più profonda?

Io ho sempre scritto. Mi piaceva scrivere racconti per me. Quando scrivere è diventato una para-professione, mi pubblicavano e mi pagavano... mi pare di essermi comprata l'automobile con Clorofilla dal cielo blu... Insomma, mi divertivo, ai lettori piaceva, riuscivo a farlo senza sforzo. Dunque, perché no? Comunque, l'80% dei miei libri sono ricordi o rielaborazioni di ricordi della mia infanzia. Dicono tutti che sono Prisca Puntoni [Ascolta il mio cuore], ma non è così. Nei miei libri c'è tutta la galassia della mia infanzia. Poi è accaduto che la mia generazione si riproducesse. Io non ho figli, ma facevo la zia. E sono nati quei cinque o sei libri dedicati a un bambino in particolare, come L'incredibile storia di Lavinia e La casa sull'albero: in una determinata circostanza li ho raccontati a voce a quel bambino e successivamente li ho scritti. Questo è durato finché ci sono stati bambini nella mia vita privata. Ora le mie lettrici ogni tanto mi vengono a trovare, e sono diventate donne in gamba, con un senso di responsabilità che è la qualità che apprezzo di più negli esseri umani. E penso che magari qualcosa gliel'ho instillato io. Ora altri sono i temi che mi interessano e di cui sto scrivendo. Cioè tirare le somme della mia vita. Noi siamo nati con un entusiasmo politico di un certo tipo. Siamo dei sopravvissuti? Io sono una sessantottina, con tutte le delusioni e il riconoscimento dei nostri errori, ma anche con tutta la rabbia per i travisamenti e il tradimento di molti di noi che facevano i rivoluzionari, ma quando si sono trovati i soldi in tasca...

Cosa pensa dell'effetto del '68 sull'educazione dei bambini?


Cretini al mondo ce ne sono sempre stati, fra i genitori tradizionali e severi e fra quelli che lasciano i figli bradi, che soffrono, perché un bambino che non ha argini è infelice. Comunque, io ho visto impazzire la pedagogia. Mentre c'erano problemi come il consumismo e la distruzione totale dell'ambiente, ho visto convegni in cui si discuteva se dare il voto o il giudizio. E l'handicap è stato negato: il primo diritto del bambino con un handicap è essere aiutato nel suo handicap. Un bambino focomelico ha la possibilità di assistere a tutte le lezioni; un bambino con un ritardo mentale può essere inserito con gli altri bambini ma... Un bambino cieco, e diciamolo cieco ché non è un insulto, deve essere aiutato a sviluppare le doti che ha. Non si deve fingere che ci veda portandolo a una mostra e dicendogli quanto sono belli i colori. L'handicap deve essere riconosciuto e distinto. Una delle cose ultime che ha guastato la nostra civiltà è proprio la rinuncia a fare distinzioni.


Quanto ha pensato al valore educativo dei suoi romanzi?
Nel primo periodo della mia vita, la scrittura era qualcosa di vergognoso, di vietato, da fare di nascosto, perché le cose serie erano altre. Laureata in Lettere antiche, mi dovevo occupare di filologia. Poi quando ho cominciato a lavorare, ero una produttrice: dovevo stare nei budget etc. Figuriamoci se pensavo che la mia scrittura potesse avere un valore! Poi, se ho pensato di poter insegnare qualcosa ai bambini, è stata la ribellione. E a quel punto è entrato il '68: il mondo così non va; ribaltiamolo. Il fulcro di tutto è infatti L'incredibile storia di Lavinia, che è la fiammiferaia di Andersen ma non muore infreddolita: riceve in dono un anello che trasforma tutto in cacca e sconfigge i mafiosi riducendoli in cacca. Poi c'è Tornatrás, politicamente più articolato perché parla della televisione verità e della perdita di quel grande valore che per me è il riserbo rispetto alla propria vita privata. Ma anche Polissena del Porcello, che è un po' la parodia del feuilleton, è stato scritto – me ne sono accorta dopo – per la mia insofferenza per il culto di Lady Diana. Allora tutti abbiamo riscoperto le principesse. Polissena è una trovatella che sogna di essere una principessa, ma è cattivissima e snob, perché non è quello a essere importante. E infatti il personaggio più simpatico è l'altra bambina, una vagabonda. Tra l'altro, un altro mio maestro è Eugène Sue, per la sua capacità di combinare gli eventi. Posso dire un'altra cosa. Ho odiato per anni Manzoni, perché dicevo: in quel periodo abbiamo Balzac che scrive l'intera Commedia umana, e lui è lì che si sciacqua i panni in Arno. Poi da grande ho letto le Confessioni di un italiano di Nievo. La storia di Carlino e della Pisana è straordinaria. Mi sono detta: questo è il grande romanzo dell'800. Purtroppo scritto in una lingua illeggibile. Allora ho capito e perdonato Manzoni per la sua ricerca di una lingua nazionale. Era necessario che qualcuno facesse l'operazione di Manzoni.


Un consiglio di lettura ai bambini?

Il libro che so riscuotere il maggior successo tra i bambini non ha niente a che fare con la letteratura per l'infanzia. È La sinagoga degli iconoclasti di Wilcock: una serie di racconti veri di inventori pazzi, che hanno depositato brevetti assurdi. Ad esempio l'acquedotto a cani; oppure come trasformare un cucchiaio di sale in un pollo. Se ai bambini capita in mano quel libro, sicuramente si divertono come pazzi.

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