Bianca
Pitzorno
è un'amatissima scrittrice di libri per l'infanzia.
Più di 40 i romanzi pubblicati; numerose le traduzioni in vari
Paesi, dalla Francia al Giappone, e molti i riconoscimenti ottenuti.
Uno fra tanti: autrice finalista
al Premio Hans Christian Andersen Award 2012. Ma Bianca Pitzorno ha
scritto anche romanzi storici, ed è stata funzionaria RAI,
sceneggiatrice, archeologa, insegnante, traduttrice, paroliera e
altro ancora. Attualmente, è ambasciatrice dell'UNICEF.
Alla Bologna Children's Bookfair 2014,
abbiamo avuto occasione di porle alcune domande sulla sua produzione
per l'infanzia, apprezzata per il realismo, l'umorismo, la lingua
«così
lieve e linda e sapiente nella sua ammiccante semplicità» capace di
«raccogliere
in una trama saldamente unitaria le infinite occasioni ritrovate e
riproposte. E poi c'è il senso dell'atmosfera, la robusta capacità
di creare un credibilissimo clima figurale proprio mentre si viaggia
tra i topoi più noti della storia della letteratura», come ha
scritto di lei Antonio
Faeti.
I
suoi libri per l'infanzia sono a tutt'oggi ristampati e riscuotono
uno straordinario successo.
Sì. Sono 15 anni che non scrivo più libri per l'infanzia. Ma, per mia fortuna e con mio compiacimento, continuano a girare libri come Clorofilla dal cielo blu del 1974, come se l'avessi pubblicato l'anno scorso.
Sì. Sono 15 anni che non scrivo più libri per l'infanzia. Ma, per mia fortuna e con mio compiacimento, continuano a girare libri come Clorofilla dal cielo blu del 1974, come se l'avessi pubblicato l'anno scorso.
Secondo lei, qual è il motivo del suo successo?
Non ho mai cercato di scrivere cose di moda. In qualche occasione mi hanno contestato, perché non ho mai usato il gergo giovanile né ho cavalcato determinati temi. Ma a me il gergo giovanile non interessa. Certo, a volte è necessario. Le avventure di Huckleberry Finn è scritto tutto in gergo, ma non cavalca le mode. A me interessa qualcosa che duri nel tempo. Poi, le mie storie trattano di sentimenti e relazioni base degli esseri umani.
Nella
sua produzione per l'infanzia sono probabilmente confluite alcune
delle sue molteplici esperienze, tra cui quella di traduttrice. Può
parlarcene?
Facciamo un piccolo passo indietro. Io nella mia vita ho fatto tante cose. Non mi piace essere chiusa nella gabbia della letteratura per ragazzi. Sono stata archeologa, ho insegnato latino e greco, ho studiato approfonditamente l'Orlando furioso... Adesso, è da quindici anni che scrivo romanzi storici, biografie di donne. In questa mia vita vagabonda, c'è stato anche il casuale successo dei libri per ragazzi. Ma non vorrei che informasse tutto quello che ho fatto; semmai è il contrario: nella mia scrittura per bambini rifluiscono tutte le altre mie esperienze. Detto questo, io sono una grande lettrice, ovviamente di libri per adulti. Mi piacciono anche libri difficili. Sono convinta che un libro difficile, anche se non lo capiamo completamente, ci stimoli comunque. Questo vale sia per gli adulti sia per i bambini. Per cui non credo che uno scrittore per bambini debba essere prima pedagogista, sociologo o educatore. Deve essere uno scrittore. Il resto è un'altra cosa. Anzi, vorrei dire che un handicap della letteratura per bambini è che non esiste la saggistica, cioè testi di tipo scientifico. Tutto deve diventare un racconto, come nel Razzismo spiegato a mia figlia. Così si confonde la fiction e una giusta divulgazione, che però deve finire nel settore divulgazione. Secondo me, passati i 7/8 anni, i bambini sono perfettamente in grado di affrontare certi temi.
Quali grandi autori l'hanno maggiormente ispirata?
Facciamo un piccolo passo indietro. Io nella mia vita ho fatto tante cose. Non mi piace essere chiusa nella gabbia della letteratura per ragazzi. Sono stata archeologa, ho insegnato latino e greco, ho studiato approfonditamente l'Orlando furioso... Adesso, è da quindici anni che scrivo romanzi storici, biografie di donne. In questa mia vita vagabonda, c'è stato anche il casuale successo dei libri per ragazzi. Ma non vorrei che informasse tutto quello che ho fatto; semmai è il contrario: nella mia scrittura per bambini rifluiscono tutte le altre mie esperienze. Detto questo, io sono una grande lettrice, ovviamente di libri per adulti. Mi piacciono anche libri difficili. Sono convinta che un libro difficile, anche se non lo capiamo completamente, ci stimoli comunque. Questo vale sia per gli adulti sia per i bambini. Per cui non credo che uno scrittore per bambini debba essere prima pedagogista, sociologo o educatore. Deve essere uno scrittore. Il resto è un'altra cosa. Anzi, vorrei dire che un handicap della letteratura per bambini è che non esiste la saggistica, cioè testi di tipo scientifico. Tutto deve diventare un racconto, come nel Razzismo spiegato a mia figlia. Così si confonde la fiction e una giusta divulgazione, che però deve finire nel settore divulgazione. Secondo me, passati i 7/8 anni, i bambini sono perfettamente in grado di affrontare certi temi.
Quali grandi autori l'hanno maggiormente ispirata?
Una
premessa. Io sono convinta che letteratura sia trasfigurazione, non
relazione. Un giornalista che assiste a un incidente stradale, per
esempio, riferisce come sono andate le cose. Uno scrittore parte
dall'incidente stradale per riflettere sul destino, sulla vita e
sulla morte. Da un fatto banale si irradiano temi profondi,
filosofici o anche ridicoli, dipende dalla chiave interpretativa, ma
che vanno molto al di là del fatto. Penso a Alice Munro, che in un
racconto di cinque pagine ricostruisce una vita dall'inizio alla fine
e dà il senso del destino, anche concluso, perché i suoi personaggi
invecchiano. Questo è il senso della letteratura. Poi, niente di
male se qualcuno vuole fare l'elenco dei fatti. Ma sono due cose
diverse.
Quanto agli scrittori che ama?
Se
fossi un sultano, avrei un harem. Ne amo molti, e di molto diversi.
Ieri a casa mia un mio ospite si meravigliava di vedere due file di
Stephen King, che ritengo uno degli autori più straordinari. Anche
se amo il King che si firma King e il King meno horror. Per esempio,
trovo Dolores Claiborne
straordinario,
come Il gioco di Gerald,
dove non succede niente. Una coppia va in una casa isolata in
montagna a fare bondage, in tutta tranquillità. Il marito lega la
moglie alla testiera del letto, ma gli viene un infarto e muore. La
donna rimane sola. King non racconta altro che la situazione di
questa donna. King ha scritto anche una saggistica straordinaria.
Penso al saggio sulla paura e a On
writing.
Poi andiamo all'estremo, forse. Victor Hugo, il mio dio tutelare e
protettore, e Dickens. Fra gli italiani moderni, l'unica che amo è
Melania Mazzucco, perché la trovo duttile rispetto alle tematiche,
che sono contemporanee ma trasfigurate. Prendiamo Limbo.
Il tema della donna e delle nostre guerre cosiddette umanitarie non è
trattato nel modo a volte un po' sciocco di molte femministe. La sua
eroina può stare all'altezza di quelle di Tolstoj e Dostoevskij. Non
so se preferisco Guerra e pace
o L'idiota.
Io mi sono innamorata di Nastas'ja e di Aglaja, da cui l'Aglaia del
mio La casa sull'albero.
Mi piace poi molto Antonia Byatt, da Possessione
a Il libro dei bambini,
che racconta proprio l'inganno, lo sfruttamento dei bambini e del
tema infanzia da parte dell'adulto. Libro che riporta al periodo
inglese del Peter Pan di
Barrie, i cui figli, che lui adotta e che adora, si suicidano tutti.
Era un incredibile nevrotico... Vede, i grandi scrittori per bambini
non sono mai stati grandi genitori, pedagogisti... Sono quelli che
Faeti chiama i “lunatici”. Lewis Carroll ad esempio era un pazzo
scatenato. Suppongo fosse simpaticissimo per i bambini che entravano
nella sua stanza delle meraviglie, ma era tutto fuorché un bravo
educatore. Però non credo fosse un vizioso. A quell'epoca i bambini
si fotografavano nudi. Il nudo infantile, teorizzato da Ruskin, era
la purezza. Quella grandissima fotografa che è la zia di Virginia
Wolf, Julia Cameron, scatta foto a metà tra il ritratto fotografico
e il quadro; e i suoi bambini sono tutti nudi. William Blake teorizza
la purezza del “bambino angelo”. Le fotografie di Carroll vanno
inserite in questa tradizione. Io sono sicura che Carroll oltre non
andasse. Penso che si trattasse piuttosto di un suo blocco di
crescita.Quanto agli scrittori che ama?
Quando ha iniziato a scrivere per l'infanzia?
Ho iniziato in due momenti della mia vita: a otto anni per i miei coetanei; da adulta, è stato accidentale. Lavoravo come funzionaria alla RAI. Il mio capo struttura, Raffaele Crovi, in quel periodo dirigeva una collana di libri per ragazzi per la Bietti, quando ancora di letteratura per ragazzi si parlava pochissimo. Un autore gli ha dato un bidone, ma lui doveva andare in stampa. Mi ha beccato in corridoio e mi chiesto se me la sentivo di scrivere 120 pagine in un mese. Io lavoravo tutto il giorno, ma ho accettato la sfida e ce l'ho fatta, scrivendo di notte e nei week-end. Così è nato Sette Robinson su un'isola matta. Da allora, su richiesta, ho scritto un libro e mezzo all'anno.
C'era forse anche una motivazione più profonda?
Io ho sempre scritto. Mi piaceva scrivere racconti per me. Quando scrivere è diventato una para-professione, mi pubblicavano e mi pagavano... mi pare di essermi comprata l'automobile con Clorofilla dal cielo blu... Insomma, mi divertivo, ai lettori piaceva, riuscivo a farlo senza sforzo. Dunque, perché no? Comunque, l'80% dei miei libri sono ricordi o rielaborazioni di ricordi della mia infanzia. Dicono tutti che sono Prisca Puntoni [Ascolta il mio cuore], ma non è così. Nei miei libri c'è tutta la galassia della mia infanzia. Poi è accaduto che la mia generazione si riproducesse. Io non ho figli, ma facevo la zia. E sono nati quei cinque o sei libri dedicati a un bambino in particolare, come L'incredibile storia di Lavinia e La casa sull'albero: in una determinata circostanza li ho raccontati a voce a quel bambino e successivamente li ho scritti. Questo è durato finché ci sono stati bambini nella mia vita privata. Ora le mie lettrici ogni tanto mi vengono a trovare, e sono diventate donne in gamba, con un senso di responsabilità che è la qualità che apprezzo di più negli esseri umani. E penso che magari qualcosa gliel'ho instillato io. Ora altri sono i temi che mi interessano e di cui sto scrivendo. Cioè tirare le somme della mia vita. Noi siamo nati con un entusiasmo politico di un certo tipo. Siamo dei sopravvissuti? Io sono una sessantottina, con tutte le delusioni e il riconoscimento dei nostri errori, ma anche con tutta la rabbia per i travisamenti e il tradimento di molti di noi che facevano i rivoluzionari, ma quando si sono trovati i soldi in tasca...
Cretini
al mondo ce ne sono sempre stati, fra i genitori tradizionali e
severi e fra quelli che lasciano i figli bradi, che soffrono, perché
un bambino che non ha argini è infelice. Comunque, io ho visto
impazzire la pedagogia. Mentre c'erano problemi come il consumismo e
la distruzione totale dell'ambiente, ho visto convegni in cui si
discuteva se dare il voto o il giudizio. E l'handicap è stato
negato: il primo diritto del bambino con un handicap è essere
aiutato nel suo handicap. Un bambino focomelico ha la possibilità di
assistere a tutte le lezioni; un bambino con un ritardo mentale può
essere inserito con gli altri bambini ma... Un bambino cieco, e
diciamolo cieco ché non è un insulto, deve essere aiutato a
sviluppare le doti che ha. Non si deve fingere che ci veda portandolo
a una mostra e dicendogli quanto sono belli i colori. L'handicap deve
essere riconosciuto e distinto. Una delle cose ultime che ha guastato
la nostra civiltà è proprio la rinuncia a fare distinzioni.
Quanto ha pensato al valore educativo dei suoi romanzi?
Nel
primo periodo della mia vita, la scrittura era qualcosa di
vergognoso, di vietato, da fare di nascosto, perché le cose serie
erano altre. Laureata in Lettere antiche, mi dovevo occupare di
filologia. Poi quando ho cominciato a lavorare, ero una produttrice:
dovevo stare nei budget etc. Figuriamoci se pensavo che la mia
scrittura potesse avere un valore! Poi, se ho pensato di poter
insegnare qualcosa ai bambini, è stata la ribellione. E a quel punto
è entrato il '68: il mondo così non va; ribaltiamolo. Il
fulcro di tutto è infatti L'incredibile
storia di Lavinia,
che è la fiammiferaia di Andersen ma non muore infreddolita: riceve
in dono un anello che trasforma tutto in cacca e sconfigge i mafiosi
riducendoli in cacca. Poi c'è Tornatrás,
politicamente più articolato perché parla della televisione verità
e della perdita di quel grande valore che per me è il riserbo
rispetto alla propria vita privata. Ma anche Polissena del Porcello,
che è un po' la parodia del feuilleton, è stato scritto – me ne
sono accorta dopo – per la mia insofferenza per il culto di Lady
Diana. Allora tutti abbiamo riscoperto le principesse. Polissena è
una trovatella che sogna di essere una principessa, ma è
cattivissima e snob, perché non è quello a essere importante. E
infatti il personaggio più simpatico è l'altra bambina, una
vagabonda. Tra l'altro, un altro mio maestro è Eugène Sue, per la
sua capacità di combinare gli eventi. Posso dire un'altra cosa. Ho
odiato per anni Manzoni, perché dicevo: in quel periodo abbiamo
Balzac che scrive l'intera Commedia
umana,
e lui è lì che si sciacqua i panni in Arno. Poi da grande ho letto
le Confessioni di un italiano di Nievo.
La storia di Carlino e della Pisana è straordinaria. Mi sono detta:
questo è il grande romanzo dell'800. Purtroppo scritto in una lingua
illeggibile. Allora ho capito e perdonato Manzoni per la sua ricerca
di una lingua nazionale. Era necessario che qualcuno facesse
l'operazione di Manzoni.Quanto ha pensato al valore educativo dei suoi romanzi?
Un consiglio di lettura ai bambini?
Il
libro che so riscuotere il maggior successo tra i bambini non ha
niente a che fare con la letteratura per l'infanzia. È La
sinagoga degli iconoclasti
di Wilcock: una serie di racconti veri di inventori pazzi, che hanno
depositato brevetti assurdi. Ad esempio l'acquedotto a cani; oppure
come trasformare un cucchiaio di sale in un pollo. Se ai bambini
capita in mano quel libro, sicuramente si divertono come pazzi.
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