Roberto De Luca torna nelle librerie con
Adrenalina di porco. Storia di una banda criminale, edito da Pendragon, dopo il thriller Insospettabili ombre per gli
stessi tipi nel 2008. Protagonista è ancora Luca De Robertis,
anagramma del nome del suo creatore e, come lui, Maresciallo dei
carabinieri. Lo scrittore originario di Mondragone e in servizio a
Bologna, dunque, conosce bene il mondo criminale di cui scrive. Il
suo giallo dal ritmo scattante e serrato racconta la caccia a una
banda dalla «ferocia sadica e pericolosa» denominatasi "Adrenalina
di porco", offrendoci anche occasioni di riflessione sull'idea
di legalità.
Perché scrive?
Scrivere per me è un divertimento. E mi serve per non far
ricadere nella mia vita privata quello che accade al lavoro. Anche se
è nato tutto per gioco, a partire dal nome del mio personaggio. Ma
pensi a quello che viene prima. Tutti i giorni, dalla mattina alla
sera, ho a che fare con orrori di altre persone che vengono da me
oppure che leggo nei fascicoli. Quando succede qualcosa, apro le
porte della famiglia di qualcuno senza conoscerlo ed entro a far
parte della sua storia. Ma non è una storia bella. Comunque da lì
parte tutto un mondo da scoprire. Si va dalla semplice lite
condominiale ai reati contro la famiglia. E quando per esempio una
donna ti racconta quello che ha subito da un uomo... Se lo scrivessi
in un libro, non ci crederebbe. È la realtà che supera la fantasia.
Quindi è molto meglio scrivere di fantasia che scrivere la realtà.
Se si scrive di realtà, c'è il rischio che ti dicano: hai lavorato
troppo di fantasia. La mia scrittura è, quindi, molto collegata al
mio lavoro, sia perché molti spunti vengono da lì, sia perché è
il mio modo per evadere dalla realtà. È una finzione verosimile
in cui stavolta io ho il diritto di vita e di morte sui miei
personaggi.
Quindi, scrivere per lei ha anche una funzione catartica: può
far avvenire nella finzione quello che non avviene nella realtà.
Però non c’è un lieto fine. Perché?
Quanti omicidi rimangono irrisolti? Un lieto fine non poteva
esserci.
L’umorismo e l'ironia con cui racconta la vita in caserma e i
rapporti tra i colleghi sono forse un antidoto alla troppo frequente
mancanza di giustizia?
Certo. Il sorriso aiuta quando sai che forse non arriverai alla
verità.
Quando ha iniziato a scrivere?
Dieci o dodici anni fa. Perché io sono lentissimo a scrivere.
In Adrenalina di porco si avverte molto
l'influenza dei fumetti. Penso al titolo, ma anche al ritmo
accelerato con cui si succedono le scene.
Sì. Io leggo molti fumetti e li colleziono. Secondo me, un
fumetto offre una sintesi straordinaria di una storia. In quelle 50 o
60 pagine c'è tutto. Devi guardare l'immagine, le nuvole, le
espressioni... Questo mi ha incuriosito del fumetto. Pensi che più
di una persona mi ha chiesto perché il romanzo è così corto.
Potevo allungarlo, ma avrei snaturato la mia idea di narrazione e il
filo conduttore si sarebbe perso, inserendo una storia dentro
un'altra storia dentro un'altra storia. La mia è la sintesi del
fumetto. Non puoi perderti nella storia d'amore tra il capo banda e
la sua cubista o smarrisci il senso, cioè che Darko è stato
arrestato non perché ha sbagliato o perché i carabinieri sono stati
bravi, ma perché è stato tradito.
Come le è venuto il titolo, e quindi il nome della banda?
Non volevo creare la solita banda di persone che fanno tre o
quattro colpi insieme e poi si separano. La mia banda nasce come una
comune del terrore. I suoi componenti perdono la loro identità per
riuscire a fare i soldi per espatriare. Poi volevo un nome che
restasse in mente e identificasse la banda. Come se dicessero: siamo
noi, vi sfidiamo, ma saremo tanto bravi che non riuscirete a
prenderci. E infatti non sono gli sbirri a trovarli.
Chi è il Maresciallo De Robertis?
È un uomo come tutti. Con la paura di sbagliare e di rimanere
solo. Soprattutto, con un forte senso della legalità. È una persona
che ama la vita a modo suo, lontano dagli stereotipi. Non apprezza
nemmeno la tecnologia. È uno sbirro vecchio stile, che lavora
d'intuito e d'intelligenza, a differenza degli investigatori più
moderni come Guerra, convinto che la tecnologia permetta di risolvere
i casi.
Essendo ambientato a Bologna, sorge spontaneo il ricordo della
banda della Uno Bianca. Ma viene anche da pensare alle molte bande di
cittadini extra-comunitari o dell'Europa dell'Est. "Adrenalina
di porco", però, è composta da italiani e l'accento slavo di
Darko è un falso. C'è in questa scelta una volontà di "correggere"
la percezione dei lettori nei confronti delle bande?
Be', l'accento slavo l'ho incontrato nella realtà, e apparteneva
a un italiano. Da lì ho preso lo spunto per Darko. In effetti,
sembra che i colpi in villa li facciano solo gli stranieri. E non è
così.
Quanto altro delle sue esperienze personali ha utilizzato nel
libro? Penso anche alla presenza delle donne nell'Arma.
Io lavoro in una sezione in cui ancora non ci sono donne. Ma mi è
capitato di conoscerne una ed era lei. Era la Falcone di Adrenalina
di porco. "Dov'eri?", avrei voluto chiederle. Poi c'è
la vita in caserma, rispecchiata abbastanza fedelmente.
Nel suo libro c'è spazio anche per la mafia cinese.
Sì. In questo caso mi sono affidato alle cronache e a "conoscenze
all'interno". Ma è soprattutto elaborazione romanzesca.
Indirettamente, parla del regime carcerario. Senza il carcere,
la banda non sarebbe nata. Insomma, in carcere si diventa quello che
non si era diventati fuori.
Esatto. Il carcere dovrebbe essere un luogo di riqualificazione,
ma non lo è. E Darko sa che non lo è. Quindi sceglie dallo scaffale
carcerario le persone di cui ha bisogno.
C'è qualcosa che è stato detto su Adrenalina di
porco con cui è in disaccordo? Vorrebbe ribattere ora?
Del ritmo veloce ispirato alla sintesi del fumetto abbiamo già
parlato.
Da una parte del pubblico femminile mi è stato detto che De
Robertis manca di una stabilità sentimentale. Ma è la sua vita a
rendergli impossibile un legame solido e duraturo. Dal punto di vista
degli amanti del puro giallo americano, ci sarebbero pochi
inseguimenti e sparatorie. Ma nella realtà l'indagine si fa con la
testa, non con le pistole. E poi fare il pistolero modello Tex Willer
non è facile. Ed è un caso estremo.
Sì. Ma non è così. Prima di tutto io sono politicamente
agnostico, perché la politica è finita da tanti anni. Poi, quello
che chiamano “comunismo” in De Robertis non è altro che il suo
senso di legalità. Il senso della legalità viene da noi e non può
esserci insegnato dalla politica. E il principio della legalità mio
e di De Robertis include un principio di uguaglianza. Quando fermi
una persona, pensi di avere più diritti di lui, perché lui è il
criminale e tu sei la guardia. L'ultima volta che io mi sono trovato
in una situazione simile, la prima cosa che ho fatto è chiedere alla
persona se aveva bisogno d'acqua o di un bagno. Deve esserci
rispetto.
Questo spiega l'umanità e la comprensione con cui ritrae i
personaggi e le loro relazioni.
Vede, i reati, dagli omicidi seriali al furto, possono essere
commessi da chiunque. Non c'è bisogno di essere slavo per rapinare
una villa o di essere nordafricano per spacciare droga. Tra il male e
il bene c'è un filo sottile e ci vuole un attimo per scavalcarlo.
Dal bene si passa facilmente al male. Ma io sono convinto che, anche
se è più difficile, dal male si può passare al bene.
Prima di concludere, vorrei sapere se è stato difficile
trovare un editore.
Non direi. Ho fatto una ricerca di mercato in zona Bologna e ho
visto che c'era una collana della Pendragon dedicata ai thriller. Ho
spedito un'email e mi hanno chiesto di inviare una sinossi. Io ho
deciso di presentarmi di persona. Credo di aver anche portato un
calendario dell'Arma. Dopo sei, sette mesi è arrivata la
pubblicazione. Comunque voglio dire che la mia più grande
soddisfazione non è la pubblicazione in sé, ma lasciare qualcosa al
lettore.
Ha in cantiere un nuovo lavoro?
Sì. Sono dei racconti ambientati sempre a Castello di San
Petronio, dove lavora De Robertis. Scriverò di scomparse di minori,
della dipendenza dalle slot machine, della vita in caserma... Per far
capire come funziona davvero la vita di un carabiniere. Molti hanno
in mente don Matteo. Ma non ci sono omicidi tutti i giorni. Io, dove
abita don Matteo non andrei mai a vivere. Deve esserci un'incidenza
pazzesca di omicidi lì...
Vuole aggiungere qualcosa?
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
Vuole aggiungere qualcosa?
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.
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