«Noi
ci costringiamo a non percepire il nostro abisso. Eppure, per tutta
la vita, non facciamo altro che guardare giù, al nostro abisso
fisico e psichico, pur senza percepirlo.» Così scriveva Thomas
Bernhard in Perturbamento
(Adelphi, 1995). Il protagonista di Correzione,
romanzo che segna una svolta nella produzione dello scrittore
austriaco, compie un passo avanti in questa direzione arrivando al
suicidio. Della sua sfida all'abisso racconta infatti l'opera,
pubblicata in Germania nel 1975 dopo quattro anni di lavoro intenso e
ora riproposta da Einaudi nella traduzione di Giovanna Agabio, con
prefazione di Vincenzo Quagliotti.
Roithamer
è il protagonista, ma non la voce narrante. A raccontare la sua vicenda è un amico d'infanzia che ne ha subito
l'influenza e ne ha in parte condiviso il percorso di vita. Entrambi
sono austriaci, nati in aree vicine (Altensam il primo, Stocket
il secondo), ed entrambi sono fuggiti dal loro Paese natale per
approdare in Inghilterra. Ma ad Altensam Roithamer ritorna
periodicamente fino a quando decide di stabilirsi nella soffitta
dell'amico imbalsamatore Höller. Qui si trincera in un volontario
isolamento per concentrarsi su un progetto «immane» da tutti
ritenuto folle: la costruzione di un cono nel Kobernausserwald,
destinato a diventare l'abitazione per la sua amata sorella.
Il
romanzo inizia raccontando l'arrivo nella soffitta degli Höller di
quella sorta di alter-ego speculare di Roithamer che è la voce
narrante. Se l'"indicibilità", l'"incomunicabilità",
l'impossibilità di giungere a un quid
definitorio
e ultimo sono tra i nuclei filosofici del nostro autore, il corto
circuito è evitato attraverso la voce in differita che, a
posteriori, tenta di rendere ragione di un percorso ostinato,
ribelle, disperato nel suo tentativo di giungere a una verità o
soluzione; meglio, a una correzione dell'esistente caotico e oscuro.
Un percorso necessariamente fallimentare, che non potrà che condurre
all'estinzione.
Nell'antefatto
passato anch'esso sotto silenzio, Roithamer si è
tolto la vita. L'amico ha, infatti, deciso di trasferirsi nella
soffitta degli Höller, pur consapevole del rischio di impazzirvi,
per esaminare, ordinare e rielaborare le pagine del manoscritto che
il suicida ha ininterrottamente corretto nell'ultima fase della sua
vita, mentre portava a compimento il suo progetto. Ma rinuncerà a
una rielaborazione che, anch'essa, non condurrebbe ad alcuna verità
ultima, bensì solo a un folle auto-annientamento. Tutto è già, per
quanto possibile, detto dal manoscritto, che rende conto del
tormentato e inutile tentativo di "correggere", attraverso
la costruzione del cono, un'esistenza incompiuta, falsificata e
amputata da un ambiente circostante ostile o estraneo, e di opporre
al dominio del caos universale la costruzione di un microcosmo puro,
perfetto, razionale, in cui la felicità sia possibile.
La
stessa correzione del manoscritto comporta una progressiva riduzione
delle sue pagine, una sua rastremazione, come se un numero minore di
parole, anche in contraddizione con le precedenti, fosse sufficiente
per “dire”; anzi come se le parole fossero intrinsecamente
incapaci di “dire” compiutamente il mondo, non riconducibile ad
alcuna logica. Linguaggio e realtà sono scollati (Wittgenstein
docet).
Ciò non può che condurre alla rinuncia di un'espressione totale e
autentica e di una ricerca di una razionalità.
Roithamer
ha infatti iniziato a scrivere il manoscritto quando si è accorto
che il suo progetto di costruire un cono, perfetta forma geometrica,
utopico paradigma dell'ordine e quindi della felicità, ha ottenuto
effetti contrari a quelli desiderati. La sorella ritiene (come tutti)
l'idea del fratello una follia, e, dopo il compimento del progetto,
si spegne fino a morire.
Una
morte avvenuta in un luogo che sa di violenza, asprezza,
sopraffazione e pericolo, come tanti altri amati dallo scrittore e
dai suoi personaggi: eremitaggi immersi in una natura impervia,
prepotente e sfidante, tra rupi scoscese e fiumi scroscianti
come l'Aurach della Correzione.
Luoghi di un'Austria in disfacimento abitata da uomini che hanno
rinunciato a recidere il cordone ombelicale coi dettami dei loro
genitori e le rigide griglie di una cultura morta, adattandosi
all'ambiente circostante. Uomini che hanno accettato di essere
soffocati e resi prigionieri senza possibilità di appello, come per
una qualche metafisica e ignota condanna. Luoghi dominati da una
natura tremenda, invadente e minacciosa, informata e tesa a un caos
entropico che si sperava il cono potesse miracolosamente contraddire
e vincere. Roithamer aveva deciso di costruirlo dove mai nessun
perito fornito di buon senso avrebbe osato edificare: il bosco del
Kobernausserwald. Ecco la sua sfida «immane»,
il cui compimento «spaventa» perché quella sfida si sa essere
l'ultima.
Ma
l'esistenza di Roithamer, si scopre, è stata tutta una lotta contro
l'Altensam in cui è nato e che lo ha sempre denigrato e offeso;
contro l'uomo che gli divenne padre quando non voleva più avere
figli; contro una madre ipocrita, rozza e perversa; in definitiva,
contro la prigione di una finto focolare in cui l'assenza di libertà
fisica e psichica ha impedito lo sviluppo naturale e armonioso della
sua personalità. Da qui il senso di sradicamento doloroso, la cui
unica alternativa è la fuga precipitosa ma prematura, mancando al
protagonista i fondamentali strumenti di autodifesa, il senso di
protezione e appartenenza, un equilibrato sviluppo emotivo. Una fuga,
quindi, destinata al fallimento. «Lui, Roithamer, non si era mai
dovuto allontanare da Altensam, per tutta la vita si era solo
sforzato di avvicinarsi ad Altensam, di farsi capire là dove farsi
capire era sempre stato impossibile ed era un'idea folle e sarà
sempre impossibile, così Roithamer, […] perché ad Altensam lui
era sempre stato un corpo estraneo.» La lotta di Roithamer è la
lotta per creare un ordine, un senso e una felicità laddove sono
impossibili. È la lotta per correggere ciò che non si può
correggere. Come un corpo estraneo, nella sua perfetta geometria è
allora anche il cono innalzato nel Kobernausserwald. Eppure è a
quest'opera «immane» che la vita di Roithamer, l'uomo che non
riuscì mai a vivere in un mondo che sentisse suo, doveva tendere.
Sarà un fallimento perché «l'uomo non può liberarsi di nulla,
abbandona il carcere in cui è stato concepito e generato solo nel
momento della sua morte».
Senonché
il caos che genera disperazione è solo apparente. In un saggio del
1977 (Thomas Bernhard: La geometria delle tenebre),
Claudio Magris ha scritto che «Bernhard insegna e dimostra che il
caos in fondo non esiste e che tutto è organizzato secondo regole
precise, le quali possono apparire confuse soltanto a chi si rifiuti
di prendere atto del negativo e lo commisuri in base a vaghi e vacui
schemi consolatori e falsificanti, inutili e disarticolati veli stesi
sulla putrefazione universale. È il rigoroso gerarchico ordine del
male che incrementa l'orrore, perché dall'impero di un ordine non
c'è via di scampo».
In
Correzione,
per la prima volta, giunge tuttavia a supporto una qualche forma di
sorriso e ironia. Il romanzo è sigillato da una frase nominale:
«Radura». È la dichiarazione che una decisione è stata presa, e
seguirà un'azione che non potrà essere raccontata. La radura è il
luogo in cui Roithamer si suiciderà ed era il punto
di passaggio obbligato nel percorso verso la scuola, che il
protagonista, la voce narrante e Höller attraversavano ogni giorno.
Quel sentiero che, «come il sentiero della vita, è sempre stato
solo un
sentiero di dolore,
ma nello stesso tempo anche sempre un
sentiero di tutte le scoperte possibili e di una felicità sublime».
La felicità della scoperta, della libertà, della
creazione/costruzione di un'opera d'arte.
Rimane,
però, la sfida alla correzione dell'orrore che impregna gli infiniti
monologhi di Bernhard, gorghi mossi dall'assillo dell'impossibilità
di un approdo a qualsivoglia significato, cambiamento o rinvenimento
di un ordine. Il quale può solo essere costruito nell'illusione
della sua impermanenza e artificiosità. Sono lunghissimi periodi, in
cui ogni segmento ripete variandoli segmenti precedenti, aggiungendo
dettagli, specificando, rettificando. Sono spirali di termini che
ricompaiono martellanti e ossessivi come, al livello macro della
struttura narrativa, temi, eventi, riflessioni tornano rideclinati e
arricchiti. Nell'ossessione che si sa perdente a esprimere una verità
o una totalità, Bernhard e i suoi personaggi sono trascinati dal
fiume in piena della vita e della loro mente concentrata e compulsiva
come noi lettori siamo travolti da una prosa che pare non potersi mai
fermare, che maniacalmente insegue l'impossibile precisione come
Roithamer ha inseguito l'utopia di un ordine inesistente. Fino alla
correzione finale. La precisione scientifica in cui Roithamer aveva
cercato un'àncora, non è diversa dalla natura invasiva e tendente
all'entropia. La scienza, ansiosa di classificare e gerarchizzare,
comprendere meccanismi ed elaborare teorie, non permette certo di
correggere un universo che non è ordine ma caos. Scienza e natura
provengono dallo stesso grembo in cui torneranno a convergere.
Roithamer chiede infatti che, dopo la sua morte, il cono venga
abbandonato alla natura da cui è circondato. Suprema e ironica,
aspra consapevolezza. Ma, almeno, Roithamer ha tentato l'impresa
«immane».
Considerato
da George Steiner uno dei capolavori della letteratura tedesca del
secondo dopoguerra, Correzione
parla
di Roithamer ma anche di Thomas Bernhard. Sebbene la sua immagine di
uomo inavvicinabile e scontroso sia stata in parte coltivata dallo
scrittore, come sottolinea Quagliotti nella sua Prefazione, resta che
il nostro fu una personalità eccentrica e non facile. Come
Roithamer, amava i luoghi solitari e impervi e, come lui, amava
camminare a piedi scalzi. Per scrivere aveva «bisogno di avere
l'acqua alla gola» e dunque di pause per distrarsi, come Roithamer
(ma Bernhard si ricavava sollievo anche scrivendo, ad esempio tenendo acceso
il televisore). Come Roithamer, imparò a odiare a tal punto il
proprio Paese da proibire dopo la sua morte, avvenuta per tubercolosi
nel 1989, la pubblicazione in Austria dei suoi romanzi e la
rappresentazione dei suoi drammi. Un'Austria che in Correzione
definisce
«un ex-centro europeo […] in liquidazione».
Bernhard
pensava (comprensibilmente) che «una traduzione non ha nulla a che
fare con l’originale». Considerava gli editori che conosceva
«strapazza manoscritti» e i critici «delle marionette volgari e
rozze… Una muta di bestie dannose». Queste mie righe sono solo
appunti di lettura. Per Bernhard, probabilmente, anche troppo. Ma noi
vogliamo che si legga Correzione. Anche se in una traduzione fatalmente traditrice. Anche se non
“suonato” da un'orchestra, come lui avrebbe voluto.
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