È un piacere incontrare Licia Troisi al Bologna Children's Book Fair 2014. Figura sottile, capelli
tagliati corti corti, occhi scuri e brillanti, un sorriso amichevole
e caldo: così si presenta la scrittrice fantasy italiana più letta
nel mondo grazie alle saghe del Mondo Emerso,
della Ragazza Drago e
dei Regni di Nashira.
L'ultima fatica letteraria della prolifica autrice romana, classe
1980, è Il sacrificio
(Mondadori, 2013).
Licia mi saluta col suo piacevolissimo accento e
mi accorgo subito della sua vivacità solare e aperta. E
l'intervista si trasforma in una conversazione.
Licia, tu
sei una scrittrice giovanissima eppure già affermata. Com'è stato
però il tuo esordio? È stato difficile trovare il primo editore?
Assolutamente
no. Io sono una persona molto molto fortunata. Ho mandato il
manoscritto a una piccola casa editrice romana, che tra l'altro
scoprii essere a pagamento, e alla Mondadori. La piccola casa
editrice non si è mai palesata. Era un concorso... La Mondadori
invece si è fatta sentire dopo quattro mesi. Ho incontrato Sandrone
Dazieri
e lui mi ha detto che erano interessati alla pubblicazione. Credo che
siano veramente rari casi come il mio.
Quando
hai iniziato a scrivere? Ti sei rivolta subito verso il fantasy?
Io in realtà
ho cominciato a scrivere quando ero molto piccola, a sette anni.
Quindi fantasy per forza, perché mi ispiravo alle favole che mi
raccontava la mia mamma e a quello che vedevo alla televisione.
Comunque, l'elemento del fantastico è sempre stato presente in tutto
quello che ho scritto. In qualche modo fa parte di me. Non è stata
una scelta consapevole. È semplicemente l'ambientazione nella quale
mi trovo meglio a raccontare le mie storie. Da quando ho cominciato a
scrivere fantasy, cioè a 21 anni. All'inizio era solo un hobby, poi
è diventato qualcosa di importante.
Che cosa ti
affascina del fantasy?
Non
lo so. Sono tutte quante cose che vedo ex post.
Il fatto che ci sia un'ambientazione non tecnologica a me piace
molto, perché io sono sempre vissuta a Roma, per di più in
periferia, per cui l'elemento naturale è sempre mancato moltissimo
nella mia vita. L'ambientazione non tecnologica mi permette di
recuperarlo. Poi c'è l'idea del duello all'arma bianca che mi è
sempre piaciuto molto, perché permette di recuperare tutti gli
aspetti più crudi della guerra che nei resoconti per il pubblico
vengono un po' cancellati. Poi, secondo me, il duello è una bella
metafora di due personalità che si scontrano e modificano la propria
visione della vita in seguito a questo scontro. Poi io ho una
fascinazione per i draghi. Non so perché. Uno dei primi giocattoli
che ho avuto nella mia vita era un draghetto di gomma di Elliott il
drago invisibile. Evidentemente questa cosa mi ha traumatizzato, non
lo so... Il drago e quindi il fantasy, viene automatico.
Parlavi del
tema della guerra e di come viene raccontata. Un tema
“impegnato”. È stata presente fin dall'inizio questa tua
consapevolezza?
Sì.
Credo che derivi anche dal periodo storico. Io ho cominciato a
scrivere le Cronache
più o meno nel 2001,
quando siamo entrati in una nuova fase della storia dell'umanità,
nella quale siamo tutt'oggi. La guerra era abbastanza presente come
idea. Era prossima la seconda guerra in Iraq... Comunque, io ricordo
che da bambina – avevo 10 anni – ero stata molto colpita dalla
prima guerra in Iraq. E col tempo mi sono resa
conto di come questa guerra veniva raccontata: tipicamente come
asettica, in cui hai il tuo aeroplanino, a volte senza nemmeno il
pilota, che butta giù la bomba, però non vedi gli effetti evidenti
di dolore e di morte causati da questa bomba. Secondo me, c'è una
rimozione presso la nostra società di tutto ciò che di terribile
comporta la guerra, anche perché fortunatamente sono 70 anni che noi
questa guerra non la vediamo. Però dimenticare questo aspetto è
estremamente pericoloso. Per cui mi piace che venga richiamato. E la
letteratura è un modo di farlo.
Quali
letture avevi alle spalle, dato che, quando hai iniziato a scrivere,
in Italia il fantasy non era ancora così diffuso?
Infatti
non avevo letto tanto fantasy, solo i capisaldi. Conoscevo Tolkien,
di cui avevo letto sia Il Signore degli Anelli
sia Lo Hobbit sia Il
Silmarillion, quest'ultimo in
inglese perché me lo aveva portato mio padre da Londra. È stata
dura perché io avevo appena iniziato a studiare l'inglese, e il
libro è scritto in inglese arcaico. Poi avevo letto un po' di Marion
Zimmer Bradley e la Rawlings. Lo conoscevo un po' meglio dal punto di
vista dei fumetti di cui mi ero appassionata in quel periodo.
Quindi l'ispirazione per la creazione dei tuoi libri...
È
trasversale: passa anche attraverso fumetti, cinema, canzoni...
Potresti
fare qualche esempio?
Sicuramente
sono stata influenzata dal punto di vista visivo dal Signore
degli anelli. Il modo in cui
vengono rappresentate le battaglie credo che in qualche modo abbia
influenzato il mio modo di raccontarle, oltre ad averle influenzate
il cinema che però è venuto dopo. Ma certe volte può trattarsi
solo di posti che hanno colpito la mia immaginazione. Per dire, ho
visitato in Abruzzo un posto che si chiama Gole di Celano ed è un
canyon. Uno non pensa mai che i canyon possano esistere in Italia e
invece ci sono. È un torrente che d'estate è secco, quindi si può
percorrere, e si trova tra due pareti di roccia altissime che distano
nei punti più stretti un paio di metri, per cui allarghi le braccia
e le tocchi. Era un posto che mi aveva profondamente colpito e l'ho
inserito nelle Due guerriere.
Oppure avevo visto un servizio su un giornale su una cava in Messico
dove avevano trovato dei giganteschi cristalli. Mi aveva colpito ed è
all'interno di un libro.
E un
esempio di film che ha nutrito la tua immaginazione?
Ma...
visivamente non lo so. All'inizio la cosa in cui ero entrata
veramente tantissimo era Il signore degli anelli,
che era un po' l'evento, diciamo lo “Star Wars”
della mia generazione. Quello però non è nemmeno il mio film
preferito. Mi piace di più, anche se non è tanto vicino alle cose
che racconto, Il labirinto del fauno
di Guillermo del Toro, che ha molto presente la componente
dell'horror, ma ha una forza visiva assolutamente straordinaria.
So che sei
un'astronoma e hai terminato un dottorato in astrofisica. Quanto i
tuoi studi hanno influenzato le tue opere, se lo hanno fatto?
Inizialmente
poco, devo dire. C'erano solo piccoli riferimenti che richiamavano
questo mio altro lavoro, che è diventato invece un elemento molto
forte nell'ultima saga. Al centro dell'intreccio c'è proprio un
oggetto astronomico, che è un sistema binario che si può vedere nel
cielo abbastanza agevolmente. È proprio un elemento dello sviluppo.
È una nova, che può svilupparsi quando due stelle si girano
intorno. Una è una gigante rossa molto grande e non molto calda;
l'altra è una nana bianca, molto piccola ma molto densa e molto
molto calda. Quando sono abbastanza vicine, la piccola riesce a
succhiare materia alla grande, questa materia ci cade sopra e la
riscalda. Se si accumula a sufficienza, causa un'esplosione
termonucleare. Quindi la stella brilla ed è una nova. In un capitolo
del mio ultimo libro c'è dunque una lezione di astrofisica.
Non giochi
mai con le leggi dell'astrofisica nei tuoi romanzi?
No,
non tantissimo. Ci sono delle cose evidentemente impossibili, però
io ho sempre immaginato la magia nei miei mondi come un altro modo di
intendere la scienza, che è sempre stata presente nella mia vita,
perché i miei genitori erano di formazione scientifica. Per dire, in
casa mia girava la versione italiana di Scientific
American. Qualche volta da
piccolina lo leggevo anche. Quindi è una cosa che fa parte di me. La
magia è per me una trasposizione in termini fantastici della
scienza. Anche questo elemento è forte soprattutto nell'ultima saga.
Ci sono molti personaggi, uno in particolare, che sente il richiamo
alla conoscenza, a voler capire come funziona il mondo.
Dal punto
di vista letterario, quali sono i tuoi punti di riferimento?
Io
leggo di tutto. Il fantasy non è nemmeno la parte preponderante. Ma
il libro che mi ha influenzato maggiormente a livello di poetica è
stato Il nome della rosa di
Umberto
Eco.
L'ho scoperto a 15 anni, è diventato il mio libro preferito e lo
rileggo annualmente. Tra l'altro, nell'edizione che ho a casa, che
era di mio padre e che ho rubato, alla fine ci sono le postille in
cui c'è tutto un discorso sul modo in cui Eco ha elaborato il
romanzo.
Faccio
l'avvocato del diavolo. Sai che il fantasy
è considerato un genere destinato al divertimento, e non vera e
propria letteratura. Insomma, un genere da bestseller. Tu cosa
opporresti a queste affermazioni?
Che
non c'è niente di male. Io vorrei lo sdoganamento del divertimento.
Secondo me, la ragione per cui siamo messi come siamo messi, dipende
dal deprezzamento del divertimento. Perché la gente non legge?
Perché ai bambini la lettura è rappresentata come un obbligo, come
una cosa pesante: lo devi fare perché ti arricchisce... E pochissime
persone mettono invece l'accento sul fatto che è prima di tutto una
cosa bella a farsi, piacevole, divertente. C'è questa idea che le
cose divertenti siano deteriori. Io quando leggo un bel libro mi
diverto. Divertimento inteso in senso lato, come capacità di entrare
all'interno della storia, di farmi appassionare. Per esempio ho letto
Yellow birds di KevinPowers che parla della
guerra in Afghanistan, e mi sono divertita, tra virgolette, perché
quando ho letto quel libro non riuscivo a pensare ad altro. Io ero
sul campo di battaglia. Io ho vissuto la guerra con quel libro. Anche
il deprezzamento della trama... “No, è meglio il romanzo
sperimentale, fare considerazioni filosofiche...” Boh, lascia un
po' il tempo che trova.
Vorrei
parlare dei temi presenti nei tuoi libri. Penso ad esempio all'eroina
del Mondo Emerso,
che è dura, deve ancora scoprire se stessa e ha bisogno di aiuti, ma
alla fine arriverà a scoprire i suoi poteri e accettarli, in qualche
modo. Come sono maturate in te queste tematiche, al di là dei topoi
del genere?
Questi temi mi
hanno sempre ossessionato e hanno sempre fatto parte del mio percorso
esistenziale. Ho sempre visto la mia vita come un percorso alla
ricerca del mio posto nel mondo, soprattutto della comprensione di me
stessa e della lotta contro le mie debolezza e i miei problemi.
Prendi ad esempio il tema del corpo. Io sono dimagrita molto. Sono
sempre stata in sovrappeso da ragazzina; poi, quando mi sono sposata,
sono dimagrita quindici chili. E piano piano ho cominciato ad
acquisire consapevolezza del mio corpo e a riuscire finalmente a
sentirmi nella pelle giusta. Le tracce di questo processo sono
presenti nei miei libri.
Quali altre
tracce autobiografiche che ti senti di nominare sono presenti nei
tuoi romanzi?
Be', ho da
poco finito di scrivere un libro che uscirà alla fine dell'anno. È
la prima volta che ho inserito esperienze autobiografiche sul mio
essere madre, quindi sulla mia famiglia. È sempre un fantasy, ma ho
tirato fuori una cosa che, da quando sono diventata madre, è
diventata fondamentale nella mia vita, cioè la paura della perdita.
Credo che accomuni tutte le persone che hanno una famiglia. Io ho il
terrore di perdere quello che ho. E devo dire che è stato, da un
certo punto di vista, molto bello scriverne, ma anche molto doloroso.
Sono paure molto profonde, e portarle alla luce...
Titolo?
Top
secret. Comunque è un libro po' particolare. Non fa parte di nessuno
dei progetti che sto portando avanti adesso. È un one-shot
che è venuto fuori un po' così. Ha anche una struttura un po'
particolare. Una parte di questa struttura è dedicata a questo tema.
Richiami
almeno in parte autobiografici sono presenti anche nell'ambientazione
romana del primo libro della Ragazza Drago?
Sì. Perché
l'altro elemento divertente del fantastico è quella di giocare col
nostro, di mondo, pieno di zone d'ombra che possono essere riempite
da elementi fantastici. Quindi avevo voglia di parlare di posti che
mi sono molto cari, per svariate ragioni, e metterci dentro colpi di
fantastico. A Roma c'è il Vulcano Laziale, che non è
nemmeno considerato completamente spento, ma è molto molto
quiescente da decine di migliaia di anni. È una zona molto
particolare con bellissimi laghi vulcanici e una vegetazione molto
selvaggia. Il turista medio non la conosce. I romani invece sì e ci
vanno tanto. Anche Benevento è da riscoprire. C'è la leggenda delle
streghe. La prima volta che ci sono andata con mio marito, che è
appassionato di storia romana... Praticamente in tutti i palazzi del
centro almeno un mattone è una lapide o un'iscrizione romana...
Oppure la chiesa di Santa Sofia...
E tutte
queste sono sollecitazioni, per te che sei molto visiva. Essendo così
onnivora e visionaria, come gestisci il processo della scrittura?
Cerco di
essere molto metodica. C'è un momento in cui le idee sono
completamente libere. Quando si avvicina il momento di scriverle,
comincio ad appuntarmele, scarto quelle che non portano da nessuna
parte, cerco di tirarci fuori una trama, faccio gli schemi dei
personaggi, delle ambientazioni e della trama. Arrivo prima ad avere
un piano generale della saga, se è una saga. Poi mi faccio uno
schema preciso dei capitoli che devo scrivere. E solo in quel momento
comincio a scrivere. Naturalmente è uno schema fluido. Classico
esempio: comincio con 20 capitoli di schema e alla fine sono 40. Però
ho la mia mappa-guida che mi permette di capire dove sono e dove sto
andando. Poi cerco di scrivere tutti i giorni un certo numero di
pagine.
Quindi c'è
molta disciplina?
Sì, è
proprio un lavoro lavoro.
Forse
possiamo capire qualcosa di più del tuo mondo anche se sappiamo
quali
sono i personaggi che ami di più.
sono i personaggi che ami di più.
Ce
ne sono due, ormai. Ido, quello classico, lo gnomo che si trova in
sei libri, nelle Guerre
e nelle Cronache. Lo
amo perché rappresenta uno dei pochi personaggi genuinamente adulti,
nel senso che è una figura positiva di adulto, un maestro, e ce ne
sono pochissimi nei miei libri. E poi mi piace tantissimo anche
Saiph, che è il co-protagonista dei Regni di Nashira.
È un personaggio che ha cominciato a interessarmi fin da subito: è
schiavo, ma ha la capacità di trovare sacche di libertà anche
all'interno della sua condizione di schiavitù, rifiuta completamente
la violenza ma riesce ugualmente a cambiare il mondo.
Da questo
punto di vista, mi potresti spiegare qual è la tua idea di destino e
di libertà? Essere sé stessi è essere liberi o no?
In realtà io credo di usare il destino principalmente come
meccanismo narrativo, proprio perché tutta la vita è una lotta per
la libertà, ma quando la raggiungi ti fa paura. Ci sono questi due
estremi: da una parte il voler essere liberi e dall'altra il volersi
in qualche modo piegare a qualcuno che ti dica cosa devi fare della
tua vita, perché è più semplice. Secondo me, avere un personaggio
che è gravato da un destino è un modo molto buono per rappresentare
questa dicotomia. Poi, prima di essere astrofisica, ho fatto il liceo
classico, e il destino è “il” tema della cultura classica.
Quale pensi
sia la tua firma originale nel mondo fantasy?
Quello che mi caratterizza maggiormente sono le eroine femminili. Poi
francamente non lo so, perché ho difficoltà ad avere uno sguardo
oggettivo su quello che scrivo. Non riesco a rileggermi: provo
veramente orrore di fronte a quello che ho pubblicato. Ogni volta
penso: “Questa cosa mi è venuta male, questa cosa non funziona”...
Meno male che ci sono gli editor.
Passando a
parlare del tuo pubblico, i tuoi libri sarebbero destinati agli
adolescenti. Tu intendevi scrivere per l'adolescenza?
No. Forse è
accaduto perché ero vicina all'adolescenza o perché c'è molta
adolescenza in me. Non lo so. Però, quando ho cominciato a scrivere
le storie, le ho scritte così. Poi la prima volta che ho incontrato
Sandrone Dazieri, che è a tutt'oggi il mio editor, lui mi ha detto
subito: «Guarda, questi sono libri per ragazzi».
I motivi,
secondo te?
Fondamentalmente
sono tutti libri di formazione. C'è sempre un personaggio abbastanza
giovane che ha a che fare con problematiche tipiche dell'adolescenza.
Una delle cose che torna tantissimo nei miei libri è la non identità
tra il corpo e lo spirito. Ci sono tantissimi personaggi che hanno
un'apparenza che non corrisponde a quello che realmente sono, ad
esempio personaggi vecchi che sembrano giovani o spiriti chiusi nel
corpo di un altro. Questo è, secondo me, un aspetto tipico
dell'adolescenza, nel quale un ragazzo si può riconoscere
facilmente. Poi c'è tantissimo la ricerca del sé, del senso, di un
proprio posto nel mondo. Una ricerca che attraversa tutta la nostra
vita. Questa è anche la ragione per cui non mi piace parlare di
“adolescenza”, perché secondo me in questa età c'è in
nuce, moltiplicato per cento
volte, quello che succede in tutto il resto della vita. Poi c'è
anche un pregiudizio generale della società italiana per cui il
fantasy è percepito come un genere per ragazzi. Io credo comunque
che i miei siano libri per ragazzi.
Che idea ti
sei fatta degli adolescenti di oggi?
Parlando
di adolescenza, a me viene solo un orrendo termine inglesizzato che
viene dalla scienza: “biasata”. Bias
è un termine scientifico: è il livello zero dello strumento. Certo
io conosco solo gli adolescenti che leggono. Ma a me sembra un mondo
straordinario. Tutta questa gente che si lamenta della gioventù
senza futuro, “biasata” appunto... Io sinceramente non la vedo.
Sono i giovani di sempre. Sono probabilmente, rispetto alla mia
generazione, più disillusi perché sono cresciuti in una società
estremamente cinica, in cui vengono bastonati tantissimo quelli che
hanno ideali più alti. Alla mia epoca era un po' più di moda
interessarsi di politica e appassionarsi molto del mondo. Vedo che
loro tendono maggiormente a ritrarsi. Ma questo, secondo me, è un
problema generale di contesto sociale, una tendenza generalizzata a
disinteressarsi.
E cosa
pensi della letteratura per adolescenti?
È molto
variegata. Leggo molto di quello che esce. Quando ero ragazzina io,
non esisteva proprio. È un mondo che è nato sostanzialmente a
partire dal 2000. È molto bello che ci sia perché, secondo me, è
un ottimo modo per avvicinare i giovani alla lettura. Per me non è
stato così semplicemente perché i miei genitori mi hanno iniziato
fin da quando ero piccola. Io, all'età dei miei lettori, ero passata
direttamente alla letteratura per adulti. Però, secondo me, per chi
non ha i genitori o la scuola che spingano, la letteratura per
adolescenti è fondamentale.
Quali
consigli daresti a un giovane scrittore?
C'è
un consiglio un po' stupido ma che ho imparato essere importante, ed
è leggere tanto. Purtroppo mi è capitato più di una volta di
incontrare persone che mi dicevano: “Ah, voglio scrivere un libro,
ma non ne ho mai letto uno”. Poi ho scoperto che esistono anche
persone che vogliono scrivere di genere, ma non leggono di quel
genere perché se no finiscono che rubano le idee. No, anche questo
direi che non va. Quindi: leggere moltissimo, e di tutti i generi,
senza chiudersi necessariamente nel genere che si vuole praticare o
escludendo quel genere a priori.
Poi un modo buono per autoprodursi è cominciare a cercare un
pubblico, per esempio in rete. Quindi aprire un blog, ad esempio.
Anche sui siti di fanfiction
ci sono molte opportunità. Oppure c'è 20lines,
ad esempio, un sito di scrittura creativa in cui ognuno posta 20
righe di una storia e gli altri la possono continuare. È divertente
e un buon modo per mettersi alla prova, anche perché ci sono i
commenti.
Tu hai mai
provato?
Sì. Ho scritto
una storia... È stata una cosa un po' particolare per me, perché io
sono abituata ad avere il controllo totale, dall'inizio alla fine.
Però è divertente.
Tra i
consigli, rientrano anche quelli di lettura. Quali sono i libri che
hanno avuto influenza su di te o che raccomanderesti?
A
parte Il nome della rosa,
un libro che per me è stato fondamentale sono stati I
fratelli Karamazov, che ogni
tanto vado a riprendere e ne rileggo brani scelti. Io adoro il monologo del
Grande Inquisitore, secondo me una delle pagine più belle che siano
mai state scritte. Lo consiglio anche ai ragazzi, perché uno pensa
sempre a Dostoevskij come a una mattonata in fronte. Invece, tutto
sommato, secondo me non è vero. Poi... questa secondo me fa
ridere... I Promessi Sposi.
Sarà che viene fatto studiare a scuola e ha lo stigmate della roba
pallosissima, ma è uno straordinario libro di genere. La
“paraculaggine” con cui Manzoni riesce a gestire la storia, a
tenerti avvinto, a inserire tutti gli elementi che possono piacere.
Secondo me, c'è da imparare anche per tanti scrittori contemporanei.
Yellow birds è un
libro necessario. E poi un libro che ha ossessionato la mia infanzia:
Il barone rampante. Lo
adoravo. È un po' strano. Ma anche quella è l'adolescenza. Non è
un libro per un lettore di primo pelo, ma secondo me per un ragazzo è
bello.
Non hai
citato nemmeno un autore fantasy...
Be',
l'autore fantasy che preferisco si chiama Jonathan Stroud, un inglese che ha scritto la Trilogia di Bartimeus.
Parla di un demone millenario ed è ambientata in una Londra
distopica, in cui esiste la magia, ma i maghi sono solo capaci di
evocare i demoni, che poi praticano al loro posto delle magie perché
sono loro schiavi. Quindi c'è questa differenza nella società: i
maghi dominanti e i comuni sottomessi al dominio dei maghi. Lo trovo
geniale, perché ha una grande capacità di introspezione nei
personaggi e di rappresentare tutti gli aspetti anche più meschini
dell'essere umano. E contemporaneamente è molto divertente. Ha
scritto anche un altro libro straordinario che è La valle
degli eroi, in cui rielabora il
concetto di eroe classico: lo distrugge e lo ricostruisce in un'altra
forma che è quella attuale. E poi è divertente!
Grazie
molte, Licia.
Grazie a te.
(già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/intervista-a-licia-troisi-la-scrittrice-fantasy-italiana-piu-letta-nel-mondo)
(già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/intervista-a-licia-troisi-la-scrittrice-fantasy-italiana-piu-letta-nel-mondo)
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