martedì 6 maggio 2014

“Il colore è una variabile dell'infinito” di Roberta Torre

Ho la sensazione che con Il colore è una variabile dell'infinito (Baldini&Castoldi, 2014) Roberta Torre abbia voluto rimpossessarsi di una parte del proprio passato, cercando di far combaciare i pezzi di un puzzle familiare dai risvolti drammatici, ma a cui lei riesce a infondere colore e leggerezza. L'autrice mi sembra aver intrapreso un viaggio emotivo in un pagina gloriosa ma anche oscura della sua storia per elaborarla in modo costruttivo e creativo. Quell'esplosiva creatività che la caratterizza come regista e drammaturga di talento, ed evidente anche a uno sguardo superficiale al suo brillante blog. È dal 2011, del resto, che è in gestazione il lungometraggio Rose e matematica di cui Il colore è una variabile dell'infinito non è una sceneggiatura, ma un'elaborazione narrativa, forse necessaria.

Il libro è ispirato alla figura del nonno Pierluigi Torre, matematico geniale a cui la nipote dà voce in prima persona. È lui a raccontare per rapidi e poetici squarci la sua infanzia serena nella semplice famiglia di pescatori di Vieste, il piccolo comune sulle coste pugliesi dove il bambino giurerebbe di aver visto pesci volanti sorvolare le acque affascinandolo per sempre con l'incanto del loro movimento agile e veloce.


Pierluigi Torre
Lo sperimentatore nato approda poi a Milano, dove iniziano i suoi studi da ingegnere e la sua mirabile carriera, grazie alla collaborazione col fascista Ministero dell'Aeronautica. Sarà Pierluigi Torre l'ideatore dell'idrovolante Savoia-Marchetti S.55 e del velivolo pilotato dalla flotta di aviatori capitanata da Italo Balbo durante la trasvolata atlantica del 1933, a cui lo stesso progettista partecipò. Sempre lui l'inventore della scatola nera, ma anche, nel dopoguerra, della Lambretta simbolo di un'Italia che «voleva volare». Queste le parole, secondo l'autrice, che Innocenti avrebbe usato per convincere il matematico, chiamato a Lambrate per costruire la rivale della Vespa di Piaggio. Ancora lui a creare la rosa blu, chiamata Albertina in onore della moglie.

Tra gli aspetti apprezzabili del libro di Roberta Torre (di là dall'interesse che può suscitare rispetto al lavoro della regista), spicca l'attenzione all'interiorità misteriosa e complessa di una mente sempre più ossessionata da calcoli matematici che la mano disegna su fogli, in una vasca piena d'acqua o nell'aria. Nella vita di un Torre incapace di comunicare i propri sentimenti, ne trova spazio uno: non l'amore per i figli (in sostanza ignorati), ma per la moglie Albertina, morta prematuramente a 54 anni, lasciandolo solo con formule matematiche che si riproducono nella sua mente con ossessione maniacale fino allo sprofondamento in un'inguaribile follia paranoica.

Roberta Torre ripercorre con passo leggero le tappe di un'esistenza che lei stessa sembra voler conoscere e comprendere. Non sorvola su momenti difficili della nostra storia: ci sono Italo Balbo, la riconversione del settore industriale nonché degli ex-fascisti nel dopoguerra, gli inizi della delocalizzazione industriale, il '68 (intenso l'episodio che vede Pierluigi, in veste di docente universitario, insultato dagli studenti perché “fascista”).

Tuttavia, il fascino del Colore è una variabile dell'infinito risiede nella rivisitazione che la regista e scrittrice ce ne propone. Sembra che si sia avvicinata in punta di piedi a quel nonno tanto strano che aveva visitato in ospedale, quando già era perso nel suo mondo. Sembra che abbia timidamente picchiettato le dita sulla spalla di quell'uomo indecifrabile per chiedergli, in un sussurro, di parlargli di lui.

Il colore è una variabile dell'infinito è un racconto che risuona, in ogni rigo, del bisogno di un'intimità e di una ricerca di senso privata. Chi fu il Torre che mantenne sempre lontano da sé il primogenito, padre di Roberta, non riuscendo mai a scalfire il muro di silenzio che li separava? Come funzionava la mente di un uomo geniale convinto che anche «Dio si può racchiudere in una formula numerica non più lunga di due centimetri» e che persino il colore possa essere riprodotto per via di formule, dato che l'universo è scritto in linguaggio matematico?

I brevi capitoli, tanto conclusi da poter costituire racconti a sé stante, sono il frutto di un'indagine personale volta a cercare di rispondere vitalmente a queste domande. La lettura è piacevolissima grazie a una prosa semplice e scorrevole, in cui stupiscono alcuni salti metaforici, benché a volte si senta mancare quel po' d'approfondimento narrativo e psicologico che avremmo desiderato, ad esempio nelle pagine dedicate alla trasvolata.

Roberta Torre
Il punto è che, anche se scritto in prima persona, è Roberta Torre a raccontare. Si fatica a credere che Pierluigi Torre avrebbe utilizzato la prosa che leggiamo nel Colore è una variabile dell'infinito, o che ci avrebbe coinvolto soprattutto coi racconti dedicati all'infanzia, ai rapporti familiari sbilanciati, a una passione per la matematica nata dall'incantata visione dei pesci volanti, al suo precipitare nella follia.

La regista Roberta Torre dirige: sceglie inquadrature, zoomate e montaggio. È la voce di Roberta Torre che ascoltiamo. È la sua voce che filtra, in forza di una creatività di stampo registico che non accetta di rimanere all'angolo, le parole di un nonno ingombrante, problematico e sfuggente. È che Roberta Torre, anche se sente il bisogno di scrivere, è soprattutto una regista dal potente sguardo soggettivo. E proprio in questo suo sguardo risiede l'interesse del Colore è una variabile dell'infinito.

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