La
neve nera. Luigi Di Ruscio ad Oslo, un italiano all'inferno
ci regala l'occasione
per ricordarci di uno scrittore di valore, marginale ed eccentrico,
ribelle e sempre politico.
Non so quanti lo abbiano letto, benché abbia ricevuto – e a
ragione – gli elogi di letterati acuti come Quasimodo e Porta,
Fortini e Majorino, Roversi e Volponi. Il documentario girato da
Paolo
Marzoni
su soggetto dello scrittore Angelo
Ferracuti
e
prodotto da Maxman
Coop,
ha dunque il primo merito di accendere i riflettori sulla vita e
sulla produzione di un
autore raffinato che scriveva dopo lunghe e dure giornate in
fabbrica.
Lo
hanno chiamato “poeta-operaio”. Questione di mode critiche e
ideologismi. Per Di Ruscio, la definizione è troppo stretta. In
fabbrica lo scrittore dovette lavorare per mantenere i suoi quattro
figli, senza potersi concedere né un'uscita al cinema né un
bicchierino al bar. È anche vero – sono parole sue – che, «senza
l'avanzata della classe operaia, non avrebbe
potuto scrivere».
Ma l'autore marchigiano è un artista “puro” o non potrebbe
affermare che «la
gioia della poesia è solo poesia».
Se
a ciò aggiungiamo che giunse fino al diploma elementare e si
formò da autodidatta
(per molti, la scuola migliore), possiamo solo immaginare la
ricchezza culturale che ha nutrito un'opera esondante l'ufficialità
dei canoni letterari imposti al grande pubblico.
E
può non aver contato, per Luigi Di Ruscio, l'emigrazione
dalla natia Fermo,
dove nacque nel 1930, nell'innevata
capitale scandinava,
dove morirà nel 2011 non insegnando mai ai suoi figli l'italiano? Un
italiano che, per lui, era lingua letteraria;
il norvegese diventò la sua lingua quotidiana, come il fermiano
rimase la sua lingua naturale.
Questi
aspetti biografici toccati da La
neve nera
non possono non incuriosire chi abbia sete di opere complesse e di
artisti forgiatori di linguaggi nuovi, benché il documentario ruoti
fondamentalmente intorno al tema dell'emigrazione.
A Oslo, infatti, il nostro scrittore visse la situazione dei
molti che sono «ultimi
nel paese da cui partono e ultimi nel paese dove arrivano»,
ritrovandosi «isolati» e «dequalificati». Anzi, il film di
Ferracuti e Marzoni è soprattutto un viaggio nel mondo
dell'emigrazione italiana, però svolto puntando lo sguardo su un
artista d'eccezione: un'emigrazione dura ma, in potenza, creatrice di
nuovo (anche artistico), laddove si accetti lo sradicamento e si
rischi l'incontro-scontro.
In
definitiva, il
regista e lo scrittore fondono una problematica d'attualità,
declinandola in modo originale, con la volontà di ricordare un
autore rimasto ai margini dei grandi circuiti culturali.
La
neve nera ricorda
a tutti noi, per esempio, che non solo a fine Ottocento emigrammo
negli U.S.A., ma che continuammo a farlo, non sempre trovandoci a
nostro agio e ben accolti. Ma è anche interessante riflettere
sull'influenza che una dimensione
trilingue
può aver avuto su chi visse di parole e alla ricerca di quei rari
momenti di luce che ogni vita può riservare. Per l'artista
marchigiano, che «scriveva, si fermava, rideva e ricominciava a
scrivere», la diversità era
un dono.
Leggete,
dunque, Di
Ruscio,
lo sfaccettato e instancabile operaio emigrante che invita
a «non scrivere
se non provate felicità sessuale e leggerezza».
Un introibo
alla personalità dello scrittore lo offre La
neve nera.
A questo link,
intanto, il trailer ufficiale del documentario.
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