I segnalati di Giordano Tedoldi (Fazi, 2013) è un romanzo meravigliosamente complesso. Era da tempo che un'opera di narrativa contemporanea non mi regalava quel sottile e autentico piacere estetico che Mann definì «estasi fredda» e insieme una serie pressoché ininterrotta di sorprese ed emozioni. È che il romanzo d'esordio dello scrittore romano fonde la dimensione alta della letteratura iper-colta con quella nazional-popolare dei generi da bestseller (e proprio di quelli in voga oggi: dal fantasy al thriller, dall'horror al sentimentale-psicologico; anche se non mancano, rispetto a questi generi, ascendenze raffinate). E la fusione è realizzata in modo talmente maturo che non vi si avverte nulla di costruito. I segnalati è dunque un romanzo capace di coinvolgere e interessare tanto lettori sofisticati quanto un pubblico alla ricerca di narrazioni avvincenti e dai toni forti. Ne è passato di tempo da quando Eco cercava di applicare nel Nome della rosa le sue teorie letterarie...
Nei Segnalati il lettore precipita. Tutto ha inizio con un incidente. Fulvia e il suo ragazzo, la voce narrante, vengono disturbati da un gruppo di ragazzini.La giovane, lunghi dreadlocks e All Star rosse, una MS in bocca, lancia dal terrazzo un secchio d'acqua per spaventarli. Nel fuggifuggi generale, un bimbo di dieci anni, Ruggero Lossia, viene spinto da un compagno, batte accidentalmente la testa sul gradino di un palazzo e muore. In quel momento, giurerebbe il protagonista, un'aquila spiccò il volo dal portone vicino al quale cadde il ragazzino. E da quel momento, scrive ancora lui, nulla sarebbe più stato come prima.
In parte è vero, ma il lettore ancora non sa che di questo narratore è bene non fidarsi ciecamente... Probabilmente si aspetta una vicenda di lutti ed espiazioni, magari volgente al tragico. Senonché la morte di Ruggero non è propriamente l'inizio di una fase di caos. Il caos preesisteva. Lo si scopre leggendo il romanzo pagina dopo pagina, trasportati dal ritmo narrativo instancabile e serrato generato dalla lucida follia del protagonista. Segnato da un'infanzia di molestie, il giovane ci conduce in un mondo in cui tutto si tiene e ha un senso, ma in una logica deviata. E proprio di questa logica folle il lettore non si avvede inizialmente. Fino a quando si riscuote e inizia a prendere le distanze. Già il titolo, ispirato a Die Gezeichneten (I predestinati) di Franz Schrecker (1918), avrebbe del resto dovuto indurlo a porsi domande...
Il mistero e la memoria si accampano dunque poderosi tra i temi del romanzo. E non è tanto il mistero assunto e parodiato del fantasy e simili, bensì il sostanziale mistero della mente, degli istinti corporei e del tempo. Perché il passato ha creato quella mente e quegli istinti, che di nuovo nel tempo si svolgono ed evolvono. Dove la memoria non è solo quella individuale, di cui il protagonista (e non solo) è prigioniero. La memoria psichica si fonde con la memoria culturale. Appassionato ed esperto della musica classica a cui lo ha educato il padre molestatore, posseduto dunque da una passione culturale che reca su di sé il marchio delle violenze subite, il protagonista non può dimenticare. È il peso dei padri naturali e culturali, a cui non si può rinunciare pena la perdita della propria identità o della possibilità di essere artisti. Niente indugi psicologici allora perché la psicoanalisi non serve, né melodie che prendano dolcemente per mano e cullino a un ritmo distraente, bensì rievocazioni spietate e dure, armonie e dissonanze. Siamo solo frammenti, crepati e in equilibrio instabile, a rischio di crollo. Possiamo essere salvati solo dal flusso poderoso di una sinfonia narrativa rigorosa che non conceda tregue.
E uso il termine "sinfonico" non a caso. La musica è in effetti la principale protagonista del romanzo. Vi sono continui riferimenti ai compositori più diversi (da Mozart a Beethoven, da Mahler a Ruggles, dalla musica greca antica a Schönberg). Il mondo della maggior parte dei personaggi ruota intorno alla musica che suonano, compongono o ascoltano; della musica si rivelano attenti conoscitori o profondi estimatori; grazie alla musica, paradiso e inferno insieme, riescono a sperimentare un'esaltazione ed espansione dei sensi o un ritrovato e compiuto contatto con la parte più profonda e oscura di sé stessi, l'estasi che solleva dall'orrore o la rivelazione di un destino. Ma, ancora di più, la musica informa la struttura e la prosa dei Segnalati.
Come in un'onda sinfonica ecco allora comparire personaggi sorprendenti, eccentrici ed emarginati, fragili e ossessionati, in un universo in cui è onnipresente la pulsione a una liberazione irrealizzabile (dal dolore, dal ricordo ossessivo, dal pensiero del decadimento, dell'incompiutezza, della morte). E sono la depressa Fulvia pronta a sentirsi in colpa al minimo incidente; Serena, l'“altra donna” del protagonista, quarantenne fascinosa e angosciata dallo scorrere del tempo, accademica che vive in claustrofobiche stanze a tema rivestite di arazzi; il piccolo e ancora per poco innocente Giovanni a cui si vuole insegnare a respirare bene per riuscire a tenere le note lunghe del flauto; il maestro Spitta-Sordello, ex-nazista divorato dall'ansia di terminare una sua composizione musicale che non vedrà mai la fine; i depravati Lossia. Nel mondo “magico” di un romanzo in cui i destini dei personaggi sono saldamente e misteriosamente interconnessi, la maggior parte dell'azione si svolge in una Roma che assume tratti gotici e spaventosi (non si vada oltre il Tevere, scrive il protagonista), in cui si svolgono inquietanti riti di purificazione, dove la norma è l'abnorme e l'ambiguo, la promiscuità sessuale e il crimine, tra ladri, assassini e truffatori. Quando anche i confini della capitale vengono attraversati, lo scenario non è mai rasserenante. La rappresentazione della tragedia o "passione" finale si svolge nella villa surreale progettata dalla mente malata dei Lossia, isolata in una natura inquietante e notturna.
Forse questo universo da incubo dovrebbe terminare. Ma ciò non accade. I segnalati non solo non racconta l'inizio di un precipizio. Non ne racconta, in realtà, neppure la fine. Nulla corre davvero verso la catastrofe, che sarebbe una liberazione, forse l'unica possibile. Con l'ironia feroce e acuta che è una delle cifre del romanzo, ci si ricorda che esiste la reincarnazione...
Del resto, forse, nulla è mai neppure iniziato veramente. Il secchio lanciato da Fulvia non è mai stato trovato. È dunque caduto, quel secchio? È dunque accaduto tutto ciò che è stato raccontato o è stato “solo” letteratura? Una letteratura che, per l'autore e potenzialmente per il lettore, è ciò che è la musica per i personaggi dei Segnalati?
(già pubblicato qui: http://www.sulromanzo.it/blog/i-segnalati-di-giordano-tedoldi)
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