martedì 31 dicembre 2013

Il nostos mancato in "Horcynus Orca" di D'Arrigo


Negli anni che vedono l'Italia uscire dal secondo conflitto mondiale e faticosamente intraprendere il suo percorso di crescita economica e di difficilissima stabilizzazione politica, negli stessi anni che vedono affermarsi progressivamente vari sperimentalismi letterari (vuoi sulla scia della linea lombardo-gaddiana, vuoi nati in seno al postmoderno, vuoi legati al Gruppo '63), fu in gestazione un'opera dai caratteri assolutamente originali e oggi pressoché unanimemente riconosciuta come un capolavoro. Un primo assaggio ne diede la rivista «Il Menabò»: nel 1960 pubblicò i primi due capitoli del romanzo – allora titolato I giorni della fera quando già critici e letterati del calibro di Montale, Zavattini e e Vittorini avevano segnalato il valore del progetto. Ne era autore lo scrittore messinese Stefano D'Arrigo. Dopo un accanito ed estenuante lavoro di revisione, l'opera sarebbe stata pubblicata nel 1975 col titolo definitivo Horcynus Orca. I lettori potevano finalmente sfogliare le oltre 1200 pagine di un'epopea moderna redatta in una lingua altamente sperimentale che, in un panorama complessivamente teso allo scarto rispetto alla norma, spiccava per l'unicità della sua proposta.
Credo tuttavia che pochi abbiano letto Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo. La lingua e la mole dell'opera sono stati potenti deterrenti. Pure, basterebbe arrendersi all'impatto certo inizialmente forte della prosa darrighiana e, dopo poche pagine, ci si troverebbe immersi in un mondo fantastico di prepotente personalità.
Il romanzo è incentrato sulla figura del giovane 'Ndrja Cambria, «nocchiero semplice della fu regia Marina»1, che torna da Napoli alla natia Cariddi dopo l'8 settembre del '43. Il suo viaggio è ricco di incontri e riflessioni, svolti a episodi chiusi, come nei canoni del genere epico, e avrà come esito la morte. Il romanzo racconta infatti l'impossibilità del ritorno, di una positiva appartenenza a una comunità, quella comunità che era uno dei cardini, insieme alle tradizioni e ai valori di cui era portatrice, dell'epopea classica. Viene così recuperato e contemporaneamente negato dall'interno il topos del nostos. Se l'uomo contemporaneo è un perenne esule e isolato, il riutilizzo della nobile tradizione epica ne sottolinea antifrasticamente la condizione, ed è al contempo àncora all'altrimenti disperante hölderliniana perdita dell'unità. Nello stesso tempo, l'operazione di D'Arrigo si propone, secondo modalità frequenti nel '900, la rivisitazione di un genere in modo distaccato, con quell'ironia e quella resa parodiata che dicono, esplicitamente, irriconciliabili due visioni del mondo.
Il ritorno di 'Ndrja è negato non solo dall'esito mortale del suo viaggio, ma anche, più profondamente, dal fatto di trovare cambiati sé e i suoi compaesani, perduta la condivisione di valori creduti eterni, venute meno le naturali prevedibilità e interpretabilità del proprio e dei loro atteggiamenti. Il gesto e la parola non sono più espressione diretta del pensiero ma lo nascondono o lo mostrano deviato dall'originario. E l'orca – fantastico, mitico monstrum – iperbolicamente simboleggia i mutamenti avvenuti e i conseguenti pericoli in agguato. È significativo, a questo riguardo, che il ritorno di 'Ndrja coincida con l'arrivo dell'orca sullo Stretto. 'Ndrja, cioé, arriva con l'orca; è in parte l'orca. «Dovette essere come se per davvero si fosse scambiato di parte […] ma con un altro se stesso, straniato da lui, da quello di prima, di prima della guerra, con lui marinaio, per esempio, con lui marinaio di quegli anni di guerra»2, si legge. L'orca anzi fa sì che 'Ndrja prenda coscienza del mutamento catastrofico e innaturale avvenuto in lui e nella sua comunità, e che è necessario affrontare.
Come è da affrontare il moltiplicarsi di impasses al ritorno per fatalità derivante da un colpa (o da un insieme di colpe, morali ed etiche, che coinvolgono la Sicilia dell'autore ma non solo, dato che hanno portato a quella concentrazione di orrori che è stato il secondo conflitto mondiale da cui 'Ndrja cerca invano di tornare).
La negazione del nostos si articola del resto anche in una pluralità di motivi e scelte narrative.
Primo tra tutti, l'impossibilità all'azione. L'immobilità della società italiana e siciliana rende inefficace ogni tentativo di soluzione-evoluzione così che l'epica moderna non è più racconto di vicende e gesta eroiche e memorabili, bensì delle avventure reali e psichiche di un soggetto destinato alla sconfitta. Il passaggio all'azione è transito verso la morte.
Le prime due sezioni del romanzo si svolgono di notte, e «la notte è femmina e fa chiacchiere, il giorno è maschio e porta il fatto»3; la terza narra il tentativo di guarigione di 'Ndrja, esiziale.
Del resto, il ritorno del giovane cariddoto non si è in realtà mai verificato. In luogo del suo inserimento nella comunità, si narra l'arrivo dell'orca. Coincidenza e sostituzione significanti, se l'orca nel romanzo è simbolo della morte e della guerra. Per cui l'orca è sì antagonista dell'eroe ma anche suo specchio e alter ego. Non si esce intoccati e incolpevoli dalla guerra, e delle proprie decisoni si deve pagare lo scotto.
Persino il padre non riconosce o non vuole riconoscere Ndrja, di cui è così negata l'identità di figlio, di appartenente alla cellula familiare. La colpa che Caitanello gli addebita è di essere partito per la guerra lasciandolo solo: la guerra non è più quella affrontata con orgoglio e coraggio dalla tradizione epica, ma una guerra sentita, oltreché come dannosa, come estranea alla vita comunitaria.
Anche l'incontro con la fidanzata Marosa è posticipato volontariamente da 'Ndrja. Un po' di trama: il giovane riesce a sbarcare dalla Calabria in Sicilia grazie al misterioso aiuto di una “femminota”, Ciccina Circé (esplicito richiamo alla classica Circe), molle e liquida come il mare, inconoscibile come un essere di un altro mondo o un simbolo, sorta di traghettatrice acherontea (l'obolo è, in questo caso, l'amore), avvicinata a una figura materna.  
Sulla spiaggia dove 'Ndrja e Ciccina Circé hanno appena consumato e la seconda sta preparandosi a varare, arriva donna Rosalia, madre di Marosa. È convinta di aver sentito delle voci di soldati morti che chiedono preghiere; voci di fantasmi. Il giovane è scambiato per un morto. Del resto è come se venisse da un purgatorio essendovi fortissime analogie di ambiente tra questo e il paesaggio e gli incontri calabresi. Marosa, nel frattempo, raggiunge la madre, e 'Ndrja si nasconde. Come ha tradito suo padre, ha tradito Marosa. L'incontro con la ragazza avverrà successivamente, ma sarà raccontato come ricordo dello stesso. Il ritorno si tinge dei colori dell'irrealtà o comunque del già avvenuto. Positivamente, nulla può più avvenire. Tutto è già accaduto (e la colpa non si cancella) o dovrà accadere (per ineluttabile conseguenza).
E dovrà accadere che 'Ndrja muoia. I miti dell'Ulisse omerico e di Enea (il protagonista di Horcynus Orca voleva rifondare la sua perduta, corrotta Cariddi) si fondono con quello dell'Ulisse dantesco. È impossibile opporsi alla fatale perdita dell'armonia originaria. 'Ndrja tenta infatti di salvare la sua terra col progetto di comprare una palamitara per far riprendere ai cariddoti il loro misero ma dignitoso e tradizionale mestieruzzo di pescatori, ma fallisce. Per ottenere i soldi deve prestarsi a una regata organizzata tra una ciurma messinese, una inglese e una americana. È una regata figlia della guerra, a causa della quale l'integrità originaria è perduta. E quando, durante la prova (non si tratta ancora della regata; nemmeno questa accadrà, accadrà solo la morte), preso dal trasporto, incita i compagni a vogare («ma 'Ndrja ancora faceva, fece: oooh... oh... poiché andare per lui doveva essere una felicità di quelle alle quali non si resiste perché è come se il cuore scoppiasse in petto e scoppierebbe, solo se si tentasse di soffocare quella ribellione, quei palpiti grossi di gran vita a precipizio»4), non si accorge di superare la linea prescritta (dagli alleati). «'Ndrja fece per alzare gli occhi alla immensa, allarmante fiancata della portaerei, e fu come se porgesse volontariamente la fronte alla pallottola, che gli scoppiò in mezzo agli occhi con una vampata che lo gettò per sempre nelle tenebre»5. Il finale ritrovamento del senso antico della propria vita coincide con la morte (vedi la sintomatica ripresa del verbo “scoppiare”). A essere irraggiungibile non è più l'Ignoto, ma ciò che un tempo era noto; o si è in esilio o si muore.
Senonché non è la fine. Tutto muta, nell'universo darrighiano, in un'instancabile dialettica vita-morte. La degradazione dei pescatori, incapaci di opporsi all'orca, ha il suo contrario nella vittoria delle “fere” sulla stessa. Fere che hanno «quella particolarità della coda, una specialità che solo la fera ha in comune con l'orcaferone, chissà per quale mistero, se poi non hanno nient'altro, nemmeno un pelo in comune, anzi è chiarissimo che più diversi di come sono, non si potrebbero immaginare: per non dire altro, basterebbe dire che quella è la Morte e questa, gran campiona vitaiola, il suo contrario»6. I cariddoti si sono trasformati, ma la fera, animale marino archetipo della forza vitale, resiste: «Era passata la guera, la carneficina, il mare di sangue, quel grande roncisvalloso concentramento di fere oceaniche, l'orcaferone, Morte e fetore antico di carogna, ma le fere erano rimaste; le fere sole»7. E scoderanno l'orca, castrandola, impedendole di fecondare il mondo.
Come in un omaggio malinconico a un tempo trascorso e a un'armonia perduta, il romanzo termina col proposito di seppellire 'Ndrja (rito dovuto). I suoi compagni continuano a vogare per raggiungere Cariddi (solo per 'Ndrja, l'eroe del romanzo, la linea non era superabile); e come in omaggio al mare-madre-vita, così si conclude: «La lancia saliva verso lo scill'e cariddi, fra i sospiri rotti e il dolidoli degli sbarbatelli, come in un mare di lagrime fatto e disfatto a colpo di remo, dentro, più dentro dove il mare è mare»8.
La distanza dal passato è rimarcata anche dalla pervasività della metamorfosi, frutto di una percezione della realtà come sempre mutante, instabile, precaria. Così, all'interno di una dialettica di opposti, questi possono cambiare di segno o “prestare”, impensabilmente, qualità proprie a qualcosa di radicalmente diverso da sé. Un personaggio può acquistare tratti o qualità di qualcosa a lui estraneo o contrario. La problematica decifrazione del reale che ne deriva impone al protagonista (e al narratore che ne trascrive le vicende) un mutamento continuo della visione e dell'interpretazione delle cose. Di tutte le cose, anche attraverso la rivelazione di una metamorfosi in atto o avvenuta, viene però anche affermata la sostanziale unità; un'unità moderna tuttavia, ben lontana da quella classica. Di certo esiste un filo che, palese o meno, collega tutto l'esistente. Appare, ad esempio, spesso in modo fulmineo, l'immagine minacciosa dei denti della fera, applicata alle situazioni e ai personaggi più disparati, a indicare il sempre possibile riemergere di un'aggressività, di un rancore, di un violento istinto di sopravvivenza (si tratta qui di un'immagine talmente pregnante da acquistare quasi i caratteri di un leitmotif). Dunque, immagini, parole, attributi si rifrangono caleodospicamente su diversi elementi del romanzo, a rivelare come epifanicamente la vera natura degli stessi o una loro modificazione e insieme la forte rete di relazioni a essi sottesa.
La metamorfosi è insomma indice di una visione del mondo come totalità in continuo divenire, ma anche segno neo-barocco dell'inconoscibilità e dell'incessante trasformazione delle cose, cui è possibile avvicinarsi solo per le infinite approssimazioni raccontate dalla proliferante, rigogliosa prosa darrighiana.
Horcynus Orca è un canto di nostalgia, nella consapevolezza di un presente tragicamente distante dal mondo mitico in cui un nostos costruttivo e un'unità circolare erano ancora concepibili.

1S. D'Arrigo, Horcynus Orca, Milano, Mondadori, 1994, p. 1.
2Ibidem, p. 1132.
3Ibidem, p. 721.
4Ibidem, p. 1256.
5Ibidem, p. 1257.
6Ibidem, p. 751.
7Ibidem, p. 810.
8Ibidem, p. 1258.


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